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Atti vandalici e segnali di vita

In questo articolo vorrei parlare degli atti vandalici e della loro trasformazione nel tempo

Ognuno di noi ha ben chiaro cosa siano quegli atti vandalici sui monumenti, quelle scritte urlanti che feriscono alla sola vista ogni essere umano dotato di senno. La  normativa per l’individuazione dei danni sui beni culturali li definisce atti antropici o vandalici e, non vi sono dubbi interpretativi, vanno rimossi!

Scritte, incisioni, distacchi e lesioni alle  quali il restauratore è chiamato a porre rimedio.

Uno dei lavori più odiosi per il restauratore, che solleva brontolii e predicozzi ad ogni fase di lavorazione e, mentre sfodera tutti i materiali della tavola periodica degli elementi, per provare a rimuovere quelle tracce, regolarmente si chiede ma perché lo fanno e perché proprio su di un manufatto storico

In effetti le medesime scritte realizzate sotto ai ponti dei cavalcavia o nelle periferie ci comunicano stati d’animo diversi, se il graffito è bello esteticamente lo osserviamo con la dignità che si concede ad un opera d’arte contemporanea, ma sui beni storici no, è intollerabile. E forse la risposta alla motivazione di tali gesti  risiede proprio in questo è una provocazione forte, un’insulto, e come tale viene recepito

Va però analizzato che gli atti antropici o vandalici sui manufatti storico artistici sono un fatto costante nel tempo, sono sempre avvenuti, lo dimostrano chiaramente certe scritte tra le rovine di Pompei

La differenza sta nelle tecniche, gli atti vandalici antichi giunti sino a noi sono per lo più delle incisioni, su pietra, intonaco, legno o altro materiale. Altra differenza sta nel diverso garbo con cui sono realizzate scritte firme e date, una forma di pudore che li hanno resi semi invisibili o comunque tollerabili alla vista affinché giungessero sino a noi. Forse diversa era la motivazione dell’atto vandalico non una provocazione o un insulto ma piuttosto una testimonianza di se in un luogo ritenuto importante. Una sorta di “io c’ero”

Di fronte a questi atti vandalici ricoperti dallo strato nobilitante della storia il nostro atteggiamento cambia completamente, li osserviamo con attenzione e trasporto cercando di leggere firme e date, ma non solo l’atteggiamento del comune osservatore cambia, cambia anche la normativa sulla conservazione che contempla la tutela e la conservazione della scritta e dell’incisione storicizzata

Perché mai? Si potrebbe chiedere qualcuno. Molto semplice perché quelle scritte divengono documento, ci danno informazioni quindi assumono un valore documentale per la lettura e la conoscenza della storia di un dato bene, lo stesso su cui sono state realizzate

Gli atti antropici antichi divengono tracce vitali da conservare poiché hanno assunto una valenza storica ed antropologica. La conservazione di incisioni, firme e  date storicizzate sui manufatti storici è uno di quei fattori che possono apparire incomprensibili a chi non è del settore ma che rendono intellettualmente evoluto l’atto della conservazione

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SilviaContiRestauroConservativo

 

 

Descialbo

Parliamo di Descialbo

Per comprendere cosa sia il descialbo bisogna prima indagare la parola scialbo. Scialbo, oltre a significare smorto pallido e insignificante indica uno strato di colore a corpo steso sull’intonaco, deriva dal toscano. Spesso si riferisce ad uno strato di calce idrata lievemente pigmentata che ricopriva ampie porzioni dell’intonaco di un edificio.

Il descialbo alla lettera significa la rimozione dello scialbo, in realtà la parola “descialbo” non è Italiano corretto. In sostanza un neologismo che nel settore del restauro è entrato con prepotenza, come temine tecnico in sostituzione del più corretto e complicato “rimozione degli strati superficiali soprammessi”

La fase di lavorazione del descialbo, fa parte del vocabolario del restauro conservativo e costituisce quell’insieme di atti volti alla rimozione degli strati soprammessi da una superficie policroma, e più specificamente  un intonaco o un affresco

Nella maggior parte dei casi si effettua con bisturi e piccole spatole ma vi sono casi in cui lo scialbo ha uno spessore maggiore  e si può rimuovere con piccoli martelletti

 clicca per il video

In buona sostanza maggiore è lo spessore e più facile sarà la rimozione. La maggiore o minore difficoltà nella rimozione di uno scialbo soprammesso ad un affresco è dettata da una serie di fattori variabili che vanno dalla materia costituente lo scialbo, il grado di coesione della materia, il grado di adesione al supporto, eccetera.

Il più delle volte lo scialbo è costituito da uno strato di calce idrata stesa molto liquida nei periodi di pestilenza, con la funzione di disinfettare palazzi e chiese, ecco per quello scialbo non vi è altro mezzo che la rimozione a bisturi

Il descialbo è una delle fasi più complicate, lunghe, imprevedibili, tediose e che richiedono infinita pazienza, eppure per noi restauratori è una parola dal suono meraviglioso

Nella maggior parte dei casi descialbo è il sinonimo di ritrovamento di affreschi. La gioia più grande per un restauratore. Che altro desiderare!

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SilviaContiRestauroConservativo

Petrolio della Nazione? Yes we are!

Analisi semi seria del rapporto tra politica e beni culturali

1 Le presentazioni

… buongiorno, siamo i restauratori.

Eccoci qua, ad oggi possiamo vantare una stretta parentela con il “petrolio della Nazione” cioè i Beni Culturali !

Per dovere di precisione siamo quelli che mettono il petrolio nei barili e lo conservano. Quelli che si sporcano le mani. Quelli  che quando si tratta di fare un cartellone pubblicitario vengono messi  in posa e quando si tratta di riconoscerli come categoria nessuno li vede

Appariamo e scompariamo come piccoli fantasmi, ma all’occorrenza con discrezione, per servirvi!

2 La politica e i beni culturali

L’atteggiamento della politica Italiana rispetto al patrimonio culturale è sempre stato piuttosto singolare. Palla al piede prima, petrolio d’Italia poi … mai che vi sia stata  una percezione realistica della situazione!

Infatti il dato più divertente ed emblematico è pensare che il concetto più recente, quello di patrimonio culturale come petrolio della nazione, sia nato da un senso di pudore di fronte a questo immenso patrimonio che chiede di essere conservato. Il Ministro di turno, i politici in genere e a volte anche i funzionari, sono stati intimoriti dal dover chiedere risorse per gestire e conservare i beni culturali. E allora hanno pensato bene di dire … “tranquilli …. è il petrolio della nazione!” Come una forma di giustificazione o rassicurazione per gli astanti dubbiosi di fronte a quell’ammasso di vecchiume

Chissà perché nessuno ha mai provato pudore al pensiero che le infrastrutture o la sanità abbiano bisogno di risorse. Evidentemente quello è naturale

3 Il Ministero

Per molti anni è stato considerato una sorta di “rifugio peccatorum” ovvero il luogo dove inviare politici che, il governo di turno non  sapeva bene dove collocare, ma  ai quali doveva pur dare un incarico. Motivo per il quale vi sono finiti insigni personaggi della storia d’Italia che nessuno ricorda.

Fatta eccezione per alcuni casi  in cui il politico giusto era finito al posto giusto, ma certamente si era trattato di un caso fortuito e del tutto transitorio!

Nei tempi più recenti è decisamente più glamour fare il Ministro alla cultura per cui l’atteggiamento è  cambiato ma, soprattutto nella sua forma esteriore

 4  Il nome

Su base statistica e storico politica ovvero in base ai dati desunti dalla storia della nostra Repubblica, possiamo affermare che nel cambio del nome del Ministero o degli uffici ad esso connessi, risiede tutto il senso politico e progettuale della sua azione sul patrimonio 

Per essere banalmente esplicativi fornirò un breve esempio della variazione dei nomi del ministero e delle Soprintendenze, senza voler essere esaustiva … sarebbe impossibile

Cambio dei nomi del Ministero

  • Ministero per i beni culturali e l’ambiente (1974)
  • Ministero per i beni culturali e ambientali (1975)
  • Ministero per i beni e le attività culturali (1984)
  • Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (2013)
  • Ministero dei beni e delle attività culturali (2018)
  • Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (2019)

 

Cambio dei nomi delle Soprintendenze

Le soprintendenze nascono nel 1904 e vengono normate dal Ministro Luigi Rava nel 1907 suddivise in tre aree di competenza

  1. Soprintendenza ai monumenti 1907-1923 1939-1974
  2. Soprintendenza agli scavi e musei archeologici 1907-1923 1939-1974
  3. Soprintendenza alle gallerie 1907-1923 1939-1974

Dagli anni ’80 ad oggi è stato un turbinio scoppiettante di nomi  che spesso di anno in anno si allungavano, si suddividevano a seconda delle regioni e comunque, sempre si complicavano

Prendiamo ad esempio una soprintendenza : La Soprintendenza alle Gallerie è divenuta Soprintendenza ai Beni Mobili storico artistici, poi  Soprintendenza ai Beni Storici Artistici che negli anni seguenti diveniva, Soprintendenza ai Beni Storici Artistici ed Etenoantropologici, che l’anno seguente divenivano, Demoetnoantropologici, a questi nomi sono seguite le sigle tipo  SBAP e SBEAP, certamente imparentate con i suoni onomatopeici Bim, Bum, Bam, Patapim e Patapam

5 Novità in arrivo

Il nuovo governo si è da poco insediato e ancora non sappiamo come si atteggerà il nuovo Ministro dei beni e attività culturali, in ogni caso … ha già cambiato il nome del ministero!

Come sempre una speranza la conservo, sarà che tutte le volte ci casco, tutte le volte  ci credo, e penso che al di la degli schieramenti politici, possa essere designato qualcuno che abbia realmente a cuore il patrimonio storico artistico di questa povera grande nazione

Chissà … ai posteri l’ardua sentenza

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SilviaContiRestauroConservativo

Immagini gentilmente concesse da Giovanni Alfieri Fotografo www.giovannialfieri.com

Prove tecniche di appartenenza o resistenza

Questo mio pensiero è per il senso di appartenenza dei restauratori

Una sorta di sperimentazione tecnica. Un piccolo esercizio di resistenza  da attuare in caso di  commenti,  diffamazioni,  infamie! Il fine? Diventare categoria di restauratori o guru, chissà

Il più delle volte, quando ci si appresta ad affrontare un nuovo intervento di restauro, ci si trova dinanzi all’opera di nostri colleghi restauratori, quelli che ci hanno preceduto, che sono intervenuti anni prima di noi.

Incredibile a dirsi ma capita veramente di rado che un opera non sia mai stata “toccata” o restaurata. Questo in se ha dell’incredibile se si pensa che la disciplina del restauro, così come intesa dalla normativa, è disciplina relativamente recente

Dicevo, se l’opera ha almeno un centinaio di anni è praticamente impossibile  che non sia stata mai sottoposta ad un qualche tipo di intervento, dalla finalità e dall’intenzione più o meno conservativa.   Quelle poche volte che accade, ci si trova di fronte all’opera, magari degradata, ma così come realizzata dall’artista, ecco …  ci si sente di aver scoperto un tesoro.

Tornando alla realtà, non sempre l’opera in questione  è stata restaurata da professionisti restauratori, spesso da pittori nel caso di restauri più antichi, oppure dal volontario della parrocchia che tanto ama l’arte, ma più spesso da decoratori

Sotto il profilo etico e personale preferisco astenermi dal commentare le scelte dei miei predecessori. E per miei predecessori intendo restauratori.

Lo faccio perché credo fermamente che la nascita ed il consolidarsi della credibilità di una categoria professionale, oltre che dalle norme scritte stia nella forza di quelle regole non scritte e non dette, che impongono rispetto e senso di appartenenza 

Ciononostante mi rendo conto di quanto questo possa essere difficile, anche quando, forti delle migliori intenzioni, ci si trova ad esempio di fronte a gratuite diffamazioni, magari indotte da una qualche forma di invidia professionale e, chissà perché ci viene una gran voglia di restituire la cortesia!  È così difficile resistere dal ribattere a tono. Ma non serve, non è etico e sopratutto non favorisce la più alta causa della nascita di una categoria consapevole

Quando sento irrefrenabile il desiderio di ribattere a qualche cialtroneria, provo a pensare a quanto  diffamare e fare cattiverie  sia la cosa più facile ed agevole del mondo. È un dato di fatto: tutti, ma proprio tutti, idioti inclusi, sono capaci di fare e dire infamità.  Per fortuna non tutti cedono a questo declivio dell’anima e l’astenersi dal  diffamare è ben più difficile del suo contrario

Nel panorama sociale  contemporaneo dove vince chi insulta e chi è incline all’odio facile, sarebbe bello che noi restauratori fossimo, nella nostra casacca variopinta di categoria semi inesistente, un’altra volta controcorrente.

Ed è un augurio che faccio a me e a tutta la categoria ufficiale, ufficiosa esistente o no!

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SilviaContiRestauroConservativo

I Restauratori e la sindrome di Paperino

Habemus elenco restauratori Italiani?

Schhhhhh!!!!

Zitti, forse si, ma parlate a bassa voce … scaramanzia,  trepidazione, ansia e, si, anche  paura

Una voce semi ufficiale si è levata dalla  social selva… arriva, è in arrivo. L’angelo annunciante annuncia l’annunciazione: “…, è con grande orgoglio che comunichiamo, … una data storica per i beni culturali italiani!”  Hoooo!

In questi giorni di comunicazioni a mezza voce, mezzo social e mezzo pieno e mezzo vuoto …pare che la commissione abbia concluso i lavori per la selezione della disciplina transitoria per la qualifica di restauratore. Beh si transitoria, transitoria … e non stiamo a pensare in che senso “transitoria”, lasciate stare va, che ci si fa solo del male!

Comunque siamo tutti felici, siamo trepidanti e increduli

La notizia è piccante!

E manco a dirlo ecco affiorare  in noi restauratori la sindrome di Paperino. Si perché noi restauratori siamo  Paperino. Il personaggio di Walt Disney è dentro di noi. Come lui abbiamo un sacco di cugini fortunati, tanti Gastone, che fanno dei bei lavori tutelati e remunerati e poi ci siamo noi, che facciamo il lavoro più bello del mondo ma siamo lievemente sfortunati , un poco insicuri, qualche volte ridicoli e spesso  squinternati

Tornando ai fatti la sindrome si è manifestata non appena comparsa l’ufficiosa officiante notizia:  6300 restauratori. 6300? Ma i conti non tornano! le domande erano almeno il doppio. Ecco lo sapevo hanno silurato un sacco di gente e certamente ci sarò anch’io, certo, con la sfortuna che mi ritrovo non può che essere così. Avranno perso i miei allegati oppure avrò sbagliato a caricarli. Certo avrò sbagliato qualcosa!

L’ansia e le notizie si rincorrono,  si  aggiungono dettagli, ho sentito una collega … è stata contattata, ma i venti giorni previsti per legge? Ci saranno i tempi del ricorso, ma è ufficiale? Daremo battaglia, ho già sentito il mio avvocato, cambio lavoro vado alle Maldive a levigare le tavole da surf… e così via in una crescente insicurezza. Quella di chi non sa cosa sia avere tutele, di chi si ritrova sempre dalla parte sbagliata

Una sola frase, commissari giudicanti: abbiate pietà di noi,  i nostri nervi sono stati messi alla prova come quelli di un ostaggio nel deserto. Non vi è più nulla da spremere, le surrenali ce le siamo strizzate da mò e forse non facciamo più neanche ridere. Se date una notizia che sia quella vera. Altrimenti lasciateci camminare sul nostro filo, nella nostra traballante  insicurezza. Il nostro lavoro è la nostra vita e se non potete darci la rete di sicurezza quantomeno abbiate la bontà di non farci perdere l’equilibrio.

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SilviaContiRestauroConservativo

Immagine di Paperino tratta da Wikipedia

Il potere dell’arte

L’arte salva dal quotidiano

La riflessione di questo articolo mi sorge così, come una reazione istintiva di fronte al ridicolo spettacolo della  politica

L’arte è finzione manifesta, ha il potere e la grandezza di poterselo permettere

ha il coraggio di essere dichiaratamente illusoria mentre nella vita di tutti i giorni, sopratutto in quella politica, si vede un grande affanno nell’illudere di essere veri di avere progetti alti. Il programma  può esistere, ma potrebbe essere ancor più meschino della mancanza totale di idee.  Finzioni, meschinità, minuscole banalità mascherate da grandi intenti.

L’arte è altro da tutto ciò, non ha bisogno di fingersi ideologicamente alta per essere tale, può esprimersi sotto ad un cavalcavia o in un provocatorio barattolo di “merda d’artista” ma continuerà ad essere infinitamente più alta  della politica pezzente ed arrivista. L’artista può indossare una tuta sgualcita oppure essere nudo in una performance di body art e sarà infinitamente più vero, più carismatico ed elegante degli abiti di sartoria di chi vuol provare a rendersi credibile.

Perché chi fa arte e chi se ne occupa conosce una dura regola; verrà selezionato dalla storia e solo i migliori passeranno quel varco, è complicato spiegare  quale sia il meccanismo ma questo è quanto! A nulla sono valsi nella storia i tentativi di inganno! Sarà che chi si occupa di arte  matura una sensibilità più profonda, legata all’essere altro al vedere da fuori al coraggio di sondare ciò che non si dovrebbe.

A tal proposito non possiamo dimenticare che i grandi della storia sono spesso ricordati per la lungimiranza rispetto all’arte, quella che hanno saputo comprendere e promuovere.  Papa Giulio II viene spesso accompagnato dalla figura di mecenate, in particolar modo di Michelangelo, così come il Cardinal Del Monte, che ebbe il lume di vedere un genio in Caravaggio, oppure il Cardinal Federico Borromeo che fondò la biblioteca e poi la quadreria ed infine l’Accademia Ambrosiana di Milano

Se vi sia una soluzione non lo so, ma chi si occupa di arte può  ascoltare la politica, analizzarla come se guardasse un dipinto, una performance e giudicarla, lo può fare! Giudicarla dalla capacità di essere grande, di andare a fondo e di rendere grande il proprio paese. In ogni caso chi vive di arte ogni giorno, chi ha il privilegio di guardare l’arte da vicino può fare cose importanti e non sarebbe saggio farsi burattino di chi i burattini manco li sa inventare

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SilviaContiRestauroConservativo

Il ritocco nel restauro

In questo articolo vorrei spendere qualche pensiero sul ritocco nel restauro conservativo

Il ritocco nel restauro conservativo è una delle molte fasi di lavorazione, una delle ultime di un intero restauro. Dal punto di vista conservativo è tra le più semplici. Una volta garantita la reversibilità del pigmento e dei leganti utilizzati per lo stesso, non vi sono problemi, nel senso che potrà essere agevolmente rimosso in un futuro intervento, senza danni per l’opera.

Eppure il ritocco è una di quelle fasi del restauro che può determinare o compromettere l’intera  riuscita di un restauro. Può determinare la leggibilità di un opera o la può compromettere, proprio perché si occupa del livello estetico di percezione, fruizione e leggibilità . Infatti il tipo di ritocco viene concordato, in via preventiva, con il funzionario competente della Soprintendenza, quasi mai viene lasciato al libero arbitrio del professionista.

Per ritocco si intende l’integrazione pittorica di piccole e medie lacune della superficie pittorica di una data opera d’arte, finalizzato a facilitare la lettura dell’opera stessa.

Il ritocco può riguardare molte delle tipologie di opera soggette a restauro; dai dipinti ad olio su tela e tavola, agli affreschi, ai grandi elementi decorativi dell’architettura, alla scultura policroma e dorata, agli stucchi, e molte altre superfici decorate e policrome.

Vi sono varie tecniche di ritocco che spesso si suddividono a seconda della volontà progettuale del restauro di rendere o meno visibile, distinguibile o riconoscibile (ad occhio esperto) il ritocco dalla superficie originale

Tra le più diffuse tecniche di ritocco vi sono il rigatino, il puntino o le piccole macchie che tendono a creare una sorta di cucitura della trama perduta, la selezione cromatica, la velatura a tono o sotto tono ed il mimetico

Il ritocco costituisce anche una prova di abilità per noi restauratori. Una sorta di esercizio di meditazione, quasi ipnotico, che ti può mettere in contatto profondo con l’essenza dell’opera d’arte e ti consente di sentirne ed interpretarne la voce, come un musicista quando esegue uno spartito. E quando scopri di averlo interpretato nel modo corretto, proprio come l’autore intendeva, puoi toccare il cielo!

 

Quando mi reco nella galleria degli Uffizi a Firenze e mi perdo dinanzi  alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, guardo il basamento, quello con le arpie e le iscrizioni, in gran parte  ricostruito con la tecnica a rigatino, arpie comprese. Credo sia stato restaurato agli inizi degli anni ’80 del ‘900.  Ecco quando lo guardo, non voglio più sapere cosa penso sotto il profilo ideologico, di quel tipo di integrazione scelta, ebbene, vorrei solo baciare in fronte quel genio che lo ha ritoccato, colui o colei che ha realizzato quell’opera d’arte nell’opera. Grazie, una vera delizia per una restauratrice!

Il ritocco è anche la fase di lavorazione più soggetta in assoluto alle mode del momento, dal tipo di ritocco che vediamo su di un opera possiamo determinare con una discreta agilità il periodo in cui è stato restaurato ed anche l’area geografica.

Normalmente è la prima parte di un restauro che viene eliminata dal successivo e, con essa se ne vanno il pensiero e il gusto percettivo di un dato periodo storico. Per questo documentare il restauro diviene esercizio di storia dell’arte

 

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SilviaConti  RestauroConservativo

 

Analisi dei danni – ridipinture 2

In questo articolo, fatte salve le premesse descritte nel primo articolo sulle ridipinture, analizzerò un caso  di una policromia di una scultura lignea ripresa con colori a corpo.

Va detto che le sculture lignee e le opere mobili policrome in genere sono quelle più soggette in assoluto alla sovrammissione di strati di colore a corpo che riprendono più o meno fedelmente i colori sottostanti. Chiunque si occupi in qualche misura di beni culturali, non può non aver costatato questo dato .

Tale consuetudine è probabilmente dettata dalla maggiore facilità, da parte di chi gestisce dette opere, siano essi privati o enti ecclesiastici, di ovviare alla pulitura del manufatto con uno strato di nuova vernice … più veloce, più economico e non servono specialisti. Mentre per dipinti su tela o murali vi è una qualche remora, in caso di scultura policroma, non resistono alla tentazione  e se non siamo di fronte ad un opera di altissimo valore artistico, custodita in un museo, possiamo stare certi di trovare strati di colore a corpo, che l’hanno ripresa anche più volte in un centinaio di anni.  La situazione  peggiora e gli strati si moltiplicano se la scultura in questione ha una valenza devozionale. Non so se sia per ingraziarsi il Santo in questione ma i suoi fedeli sono sempre prodighi di nuovissimi barattoli di vernice!

Il caso che intendo analizzare è una scultura lignea policroma raffigurante san Rocco.

Le ridipinture in questo caso riguardano il manto, il bastone, l’abito ed  il volto, mentre la parte bassa dell’opera pare preservata da tale intervento.

Sul manto le due conchiglie del pellegrino di colore marrone, così come la cintura sono porporina ossidata. Il  colore nero è uno smalto relativamente recente, probabilmente sintetico, mentre le ridipinture del  mantello rosso ed abito verde, risalgono alla prima metà del ‘900, si tratta presumibilmente  di uno smalto all’olio. Vista la consistenza e la lucentezza.

Il piccolo cane ai piedi  è stato parzialmente risparmiato, così come l’incarnato della gamba del Santo, che conserva una qualità pittorica molto interessante e che potrà costituire un parametro per la conduzione dell’intervento.

Riconoscere le porzioni ridipinte da quelle conservatesi è di assoluta importanza al fine di calibrare con cautela l’intervento di pulitura delle superfici policrome.

A volte è difficile intravedere sotto agli strati di colore la qualità scultorea dell’opera, che essendo policroma, ha sin dalla sua ideazione un interazione molto importante tra volumi e colore. Equilibrio da tenere sempre presente durante il restauro.

 

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SilviaContiRestauroConservativo