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Bando CARIPLO aggiudicato!

…. E dopo un duro lavoro ecco una soddisfazione

ci siamo aggiudicati un contributo legato al bando Cariplo per i primi due interventi dei cinque previsti nel nucleo storico da Amministrazione Comunale e Parrocchia nel comune di Lovere

 

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Restauro intonaci torre civica e consolidamento strutturale copertura della Chiesa dedicata a San Giorgio

Il codice Urbani (dlgs 42 del 22 gennaio 2004)

Quando si parla di restauro di oggetti soggetti ad atto di vincolo diretto o indiretto, quando si parla di paesaggio e di beni di interesse storico artistico è bene avere sempre come punto di riferimento la normativa vigente.

In Italia  i beni culturali e paesaggistici sono normati dal decreto legislativo 42 del 2004, detto codice Urbani dal nome del ministro che lo firmò (Giulio Urbani).

 

Ritengo sia un documento di fondamentale importanza per chi lavora in questo settore, da tenere sempre a portata di mano. Utile da consultare ogni qual volta si debba considerare qualche caso specifico e comprendere quale sia il giusto percorso da intraprendere

Per questo lo metto a disposizione di chi volesse intraprendere l’amena lettura al seguente link della gazzetta ufficiale

→Clicca qui per accedere al testo del decreto Urbani

Materia e restauro

In questo articolo intendo parlare della materia del restauro e della materia nel restauro

Può sembrare un gioco di parole ma in fondo non  non lo è,  non quando si parla di  restauro. Poiché ciò di cui mi occupo è una disciplina strettamente connessa alla materia e sono convinta  che solo dalla conoscenza e dall’analisi della materia  si possa provare a capirne l’essenza.

Le riflessioni derivano da alcuni pensieri che mi ritrovo a percorrere circa il motivo per il quale abbia scelto la professione del restauro … certo prima di tutto c’è l’amore per l’arte e la sua storia, poi vengono la necessità di indagare, toccare, conservare  e comprendere. Si ma cosa. Certamente l’essenza dell’opera, il suo messaggio, tutti quegli elementi astratti che l’opera ci comunica, così come  la sua intenzione artistica. Ma tutti questi messaggi astratti fatti di emozione e pensiero usano un unico veicolo per giungere a noi,  passano tutti attraverso la materia di cui è composta un opera d’arte. Ed ecco che siamo arrivati al punto. Un nuovo punto di partenza per l’analisi. La materia di cui è composta un opera d’arte che è anche la materia di cui si occupa il restauro.

Per essere più precisi, la materia del restauro e la materia fisica di cui è composta un opera d’arte, per ovvia  conseguenza si può comprendere quanto  la materia abbia un importanza assoluta e rilevante nel restauro anche per la scelta dei materiali per condurre il restauro stesso.

Non a caso il restauro è suddiviso e disciplinato da un punto di vista formale a seconda delle materie,  trattate in via specialistica dai vari professionisti. Anche se è cosa diffusa, nonché utile alla sopravvivenza della “specie”, che ogni restauratore abbia più di una specializzazione in materia di restauro. Ovvero si occupi ed abbia esperienza diretta su più materiali

Credo possa essere di aiuto, al fine di comprendere l’intima connessione tra uno specifico settore del restauro e la sua materia di pertinenza, dare un occhiata agli ambiti di competenza, di seguito elencati, seppur sommariamente :

  • Superfici decorate dell’architettura, questa categoria comprende, affreschi, intonaci antichi, graffiti e stucchi e tutte le superfici  immobili di pertinenza architettonica, fatta esclusione per gli elementi lapidei che hanno una categoria a se

 

 

 

 

  • Elementi lapidei

  • Mosaici

 

 

 

 

 

  • Elementi lignei, questa categoria riguarda   mobili e sculture

 

 

 

  • Dipinti mobili su tela e tavola

  • Metalli

  • Tessuti

  • Reperti ceramici ed archeologici

  • Strumenti musicali

Solo per citare le più note.

Già ad una prima sommaria osservazione delle immagini si può comprendere quanto i materiali oggetto  del restauro siano diversi tra loro e in virtù di questa diversità e peculiarità vengono richieste varie competenze nonché  abilità nell’uso di metodiche e tecniche diverse . Poi ci sono gli oggetti compositi come la gioielleria o certe opere polimateriche. Per intervenire sui quali si rende utile l’isolamento delle varie materie al fine di intervenire con apposite metodiche su ognuno dei componenti dell’opera.

Così accadrà che materiali e tecniche utili per il restauro di un dato manufatto saranno del tutto inutili se non dannosi nel trattamento di un’altro oggetto.

Facciamo un banale esempio se nel restauro degli affreschi è consolidato l’uso, per la fase di pulitura, di sali del tipo carbonato o bicarbonato di ammonio, questi stessi, utilizzati su dipinti su tela o policromie lignee creerebbero danni irreversibili. Ma lo sanno tutti! L’esempio pare banale per quanto ovvio ma è utile prestare  attenzione poiché non sarebbe la prima volta, si vedano i casi dei materiali nati ed utilizzati nel restauro di oggetti lignei finiti dritti dritti nel restauro degli affreschi con pacifico consenso di tutti, penso  a certe resine acriliche e sintetiche tuttora molto diffuse.

Ma allora come è possibile agire con presunta certezza nel segno della conservazione del manufatto a fronte di una situazione di cronica e fluida instabilità?

Personalmente credo che la risposta stia proprio nella materia, ovvero nella conoscenza della stessa.

Quando si analizza e si studia una materia, quando la si osserva e la si conosce, quando dal profumo di un mobile si comprende l’essenza lignea o sfiorando un intonaco si arriva a dedurne la composizione o manipolando un metallo si intuisce la lega di cui è fatto. Allora si può comprendere un dato di estrema importanza per il restauro, il concetto di compatibilità tra i materiali. Un faro di riferimento che deve condurre le azioni di restauro, sempre associato della reversibilità!

Certamente ci vengono in aiuto tutti gli studi chimici e fisici  ma prima di fidarsi ciecamente di un materiale, che potrebbe vantare studi scientifici di parte, ovvero condotti dalla stessa ditta che ne gestisce la diffusione sul mercato. Pensiamo alla compatibilità con il nostro oggetto, quello specifico del caso che stiamo trattando, pensiamo alla sua composizione, alla sua collocazione, all’esposizione agli agenti atmosferici, alle condizioni climatiche e microclimatiche di quel dato luogo, alla possibilità che venga fatta manutenzione e a tutte le variabili che caratterizzano la vita quotidiana di un’opera d’arte. Allora potremo capire se quel materiale specifico  potrà funzionare per il restauro del nostro oggetto e potremo ridurre il rischio di errore nella scelta.

Così nel panorama di costante mobilità delle tematiche del restauro, la conoscenza della materia che compone l’opera d’arte costituisce un solido punto di riferimento per chi opera alla conservazione del patrimonio artistico e storico.

Sopra a tutto l’ottima teorizzazione del restauro, della quale il nostro paese può andare fiero, che detta le linee guida, trasversali utili per ogni oggetto, giardino o città di interesse storico artistico.

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Albo dei restauratori, una questione culturale

le “Baruffe chiozzotte” di goldoniana memoria, ovvero il conseguimento del titolo di qualifica di restauratore.

Il 31 dicembre 2017 doveva essere pubblicato l’elenco dei restauratori italiani, ovvero l’elenco di coloro che hanno conseguito la qualifica di “restauratore”, attraverso la selezione a mezzo di bando pubblico iniziato nel 1998 e conclusosi, con termine perentorio, il 15 ottobre 2015 con un susseguirsi di codici, bandi, ricorsi, tribunali, nuovi bandi, nuovi termini, nuovi parametri, rinvii, nuove regole, etc, etc.

Già leggendo tra le righe i testi delle comunicazioni e  delle proroghe si trovano chiari indizi che forse ci condurranno alla realtà dei fatti.

Si, per noi restauratori guardare la realtà è penoso ma proverò  a farlo, così come se analizzassi un opera d’arte.

I fatti;

  1. La formazione della qualifica del titolo di Restauratore è stata sollecitata dal Consiglio d’Europa ( se non erro, per questo ritardo l’Italia dovrebbe essere in mora da un pezzo)
  2. I restauratori hanno formazione eterogenea
  3. I restauratori sono pochi (quantomeno chi ha i titoli per ottenere la qualifica)
  4. I restauratori si scannano tra loro
  5. la commissione, composta da figure di alto profilo del panorama culturale, si riunisce a titolo gratuito
  6. La commissione scopre che i documenti da analizzare sono tanti
  7. I commissari provengono da tutta Italia e scoprono di avere bisogno di rimborsi
  8. La quasi totalità dei commissari si dimette
  9. Vengono fissati nuovi termini … il 30 giugno 2017
  10. Si sceglie di sostituire i membri della commissione con commissari Romani così da non avere il problema dei viaggi e quindi dei rimborsi
  11. La commissione, o quel che ne resta, annuncia il rinvio al 31 dicembre 2017
  12. La nuova commissione annuncia un nuovo rinvio a non so quando, mi sono distratta e forse non mi interessa più!

Le prima deduzione che emerge leggendo questo breve elenco è che non vi è una spinta socio politica o un bisogno reale nel conferire la qualifica di restauratore. La questione pare essere considerata un lieve fastidio, come un brufolo sul naso, che periodicamente compare. Un problema che non vale neppure il misero compenso dei commissari nominati.

Non vi è la volontà e neppure l’interesse

Eppure quello spropositato impegno profuso per deviare, bloccare, posticipare fa pensare ad altro. Fa sorgere il dubbio che qualche interesse, seppur pusillanime, ci debba essere.

Altrimenti non si spiegherebbe il ridicolo impegno nell’ostacolare l’applicazione di una normativa ovvia e banale.

L’interesse affinché  quella  professione nobile, nata e teorizzata in questo paese ed esportata nel mondo, rimanga un dato nebuloso nell’aere vagamente artistico, come un sentore di trementina, ci deve essere.

Partirò da una premessa che può rivelarsi utile alla comparazione, chiunque in Italia può conoscere quale sia il percorso formativo per titoli ed esami, per esercitare una data professione. Chi vorrà fare l’avvocato frequenterà la facoltà di giurisprudenza a cui seguiranno due anni di praticantato, infine dovrà superare l’esame di stato, chi sceglierà di fare l’architetto si laureerà in una facoltà di architettura e poi darà l’esame di stato e così via.

Il restauratore no, ad oggi non si sa cosa deve fare, un aspirante restauratore,  per esercitare legittimamente questa professione.

Fatta esclusione  dell’istituto centrale per il restauro e l’opificio delle pietre dure, la cui esiguità di offerta non assolve alle minime richieste, ne degli aspiranti restauratori ne del territorio.  Ogni giorno si vedono fiorire  nuove scuole di restauro, non vi è università o accademia che non abbia un corso di restauro, e poi scuole private, regionali, provinciali  e chi più ne ha più ne metta, tutte in qualche misura abilitate, certificate, ate.

Ok, ma quando uno studente concluderà il percorso formativo potrà esercitare? No,  beh, ma, boh … e chi lo sa!

Una pura follia che porta ad una frammentazione ulteriore, interna ad una categoria che già di per se stenta a riconoscersi, anche quando incontra un proprio simile.

I restauratori provenienti dalla formazione professionale si adirano contro quelli di formazione a bottega che si adirano contro i neo formati  da nuove scuole che magari pretendono di soffiargli i lavori… e tutti in coro contro quelli provenienti dall’ICR e OPD che, in questa melma fangosa, interpretano la figura degli eletti.

In realtà siamo tutti nella stessa condizione, come i polli descritti dal Manzoni nei “Promessi sposi” quelli che, accomunati dal medesimo destino ( finire in padella) non trovano di meglio da fare che azzuffarsi tra loro.

Una situazione paradossale che vede, a fronte dell’emergere della “fortuna critica” dell’arte in genere e del restauro come atto dall’aurea poetica, un aumento della precarietà della figura del restauratore. Una  contraddizione in termini!

Come se qualcuno avesse avvistato all’orizzonte un grande interesse nell’impresa culturale e artistica in genere e lo volesse riservare per se.  Preoccupandosi di mantenere il restauratore in uno stato di costante inferiorità e dipendenza. Per chissà quale timore, che possa emergere,  che possa trarne benefici, profitto o fama, chissà.

Questi soggetti oscuri che potrebbero essere altri professionisti oppure politici, pensano di risolvere il problema comprimendo la professione del restauro in uno spazio angusto, nel quale i restauratori  possano si svolgere il proprio  ruolo, ma sempre e solo per grazia ricevuta. Non per competenza, non per legittimità professionale ne per ruolo. Ma sempre solo ai piedi e al cospetto di chi gli consentirà magnanimamente di svolgere il lavoro che gli spetterebbe per ovvia competenza .

Purtroppo le figure che reggono questa politica non sono ben riconoscibili, non è facile additare il colpevole, senza cadere in inganno,  ma di certo l’operazione che stanno perpetrando non può che danneggiare l’intero paese.

Stanno mettendo in atto un boicottaggio alla professione del restauratore senza rendersi conto del più grande ed interessante orizzonte che vi è dinnanzi. L’Italia è un paese ricchissimo di arte, di genialità e di capacità tecnico artistiche. Il ruolo del restauratore svolto secondo criteri e norme corrette non può che apportare beneficio, non solo sotto il profilo conservativo ma di conoscenza. Ogni restauro è un’occasione di studio che può e deve costituire  una nuova pagina della storia di un dato bene.

I restauratori non sono meri esecutori e neppure aspiranti despoti, sono parte dell’ingranaggio culturale che può e deve procedere, ognuno secondo le propria competenza, con le finalità della conservazione del patrimonio che è la nostra storia e la nostra pelle.

Normare con equità e rettitudine la professione del restauratore è una questione culturale indice del livello evolutivo di un paese civile.

L’arte è una categoria dello spirito  nella quale c’è posto per l’espressione di tutti coloro i quali sapranno esserne all’altezza. Chi avrà qualcosa di sensato da dire in materia, alla fine non potrà che essere ascoltato e non serviranno a nulla argini balzelli o cavilli.

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

 

Colore o non colore, il bianco

Il bianco è un colore?

Eccome!

È più di un  colore, in esso vi sono tutti i colori concentrati, alla loro massima espressione cromatica. Un colore così intenso, potente e luminoso da non poter essere percepito dall’occhio umano. Il bianco è il colore che più si avvicina al concetto fisico di luce! Il bianco è luce.

Il bianco ci circonda, ha un importanza assoluta e non potremmo farne a meno, il nostro mondo senza il bianco sarebbe impensabile.

Quando vi è necessità di luce in un ambiente abitativo, di eleganza in un abito, oppure di volume e corpo in un dipinto; solo il colore bianco assolve  questi compiti. Sia esso colore ad olio,  tempera, pittura murale, smalto, calce o pastello a cera. In ogni sua forma si lega ad altri colori, può essere mescolato con qualsiasi altro pigmento e lo renderà più chiaro, luminoso e coprente. Attutisce però la brillantezza di certi rossi e blu.

Non a caso nella scala RGB del colore, che ognuno può trovare sul proprio computer, il bianco è collocato al massimo della scala di ogni colore cioè pari a 255 di rosso, 255 di verde e  255 di blu.

 

 

 

 

 

 

 

 

Come tutti i colori e forse più di tutti gli altri,  anche il bianco pone una serie di problematiche di studio e può essere analizzato sotto diversi aspetti. Ha un alta valenza simbolica, in ogni cultura. Ma se e vogliamo analizzare il colore bianco dal punto di vista fisico, le cose cambiano diametralmente .

Il bianco non è un colore, dal punto di vista scientifico, fisico e ottico non lo è.

Piuttosto è quella materia che ha la capacità di riflettere quasi per intero la luce così da non avere colore, ha tutti i colori in se e non ha tinta, esattamente l’opposto del nero che assorbe tutta la luce sino a non avere colore.

 

Per quanto lo studio del colore possa portare molto lontano e ramificarsi in ambiti e materie molto diverse tra loro, ritengo utile parlare di quegli aspetti che meglio conosco e, sui quali io possa dire qualcosa di utile e sensato.  Come sempre,  mi occupo di elementi della materia applicati all’arte, calce e pigmenti, quei microscopici granuli di polvere colorata, tangibili, con proprietà organolettiche e materiali.  Colori e polveri che possono essere toccati, mescolati, impastati, stesi con un pennello, con una spatola o spruzzati con un aerografo. Proverò a sondare questa minuscola parte dell’argomento del colore bianco, senza la pretesa di  essere esaustiva, ma per dare l’idea di quanto ampio sia l’argomento e magari condividere il desiderio di approfondirlo.

Innanzitutto ritengo di fondamentale importanza provare a fare una sintesi schematica, che certo non assolve la conoscenza sul pigmento bianco, ma può essere utile ad acquisire un metodo per valutare conoscere e riconoscere i diversi tipi di bianco. Bianchi che si vedono nelle opere d’arte antica, bianchi da utilizzare per il restauro, bianchi per dipingere o per stuccare.

Possiamo suddividere  i bianchi in tre macro categorie; quelli di origine minerale come la calce idrata e tutte le pietre ricche di calcio come il caolino,  quelli frutto dell’ossidazione dei metalli in ambiante acido e quelli di sintesi. 

Conoscere l’origine e la composizione chimica può essere di estrema importanza per comprendere quali pigmenti possano essere utilizzati in un determinato caso e in che modo. Dalla loro derivazione ne discende stabilità alla luce, compatibilità o incompatibilità con altri materiali. Tutti dati fondamentali se si vuole utilizzare il bianco nell’ambito del restauro delle opere d’arte, ma anche per la creazione e di opere ex novo.

Vediamo ora degli esempi di colore bianco, molti di essi si trovano in commercio, altri non più ma è comunque utile conoscerli poiché utilizzati nell’arte antica.

Caolino è un bianco minerale molto diffuso, si tratta una roccia morbida di tipo  detritico, presenta piccole varianti chimiche a seconda dei luoghi di cavatura, ma si tratta sostanzialmente di un minerale silicato dell’argilla, tipo bisolfato di alluminio. È molto diffuso ed utilizzato per impasti, ceramiche, stucchi e colori. Ha un ottima stabilità alla luce ed un alta compatibilità nella mescolanza con altre materie chimiche organiche e inorganiche. Il bisolfato di alluminio gli conferisce un potere antisettico pertanto, se utilizzato nei colori, questi saranno meno attaccabili da muffe, batteri e microrganismi. Per via di questa particolare proprietà è molto utilizzato in ambito cosmetico, basti dire che ognuno di noi lo incontra ogni giorno nella pasta dentifricia

 

La Biacca è forse il bianco più poetico e antico deriva dall’ossidazione del piombo esposto ai vapori acidi dell’aceto, è un bianco caldo, un poco giallo, dalla granulometria sottilissima, quasi vellutato. Oggi quasi introvabile per via della sua tossicità e a causa della sua instabilità, infatti la biacca in ambiente basico tende ad annerire rovinando irrimediabilmente le opere in cui è stata utilizzata. Presenta  meno problemi se utilizzata come colore ad olio,  poiché le molecole oleose avvolgendo completamente i pigmenti, evitano l’esposizione all’ossigeno e il conseguente processo di ossidazione. Mentre gli utilizzi della biacca con la tecnica a fresco, a tempera ed a calce hanno dato dei risultati devastanti.

La calce idrata, idrossido di calcio, o grassello o calce spenta è un colore ed un legante minerale nel contempo. È un materiale di estrema importanza nell’edilizia e nell’arte antica. Si presenta come una pasta umida di colore bianco assoluto, quasi accecante. Deriva dallo “spegnimento” in acqua, della pietra calcarea cotta a 800 gradi circa. Diluita può essere utilizzata come tinta, da stendere a pennello, in pasta, mescolata con due parti di inerte (sabbia di fiume o polvere di marmo) forma delle malte, dei marmorini e degli stucchi di eccezionale resistenza nel tempo. Il suo potere legante si estrinseca attraverso il processo chimico della  carbonatazione  e la perdita dell’umidità. Non ha un grande potere coprente se non addizionata ad inerti come carbonato di calcio. È il componente fondamentale dell’architettura storica e della tecnica pittorica a fresco. È il materiale per eccellenza del restauro degli affreschi, degli stucchi e degli intonaci sopratutto per il suo potere legante minerale, infatti nella sua forma più diluita, acqua di calce, è il miglior consolidante per imbibizione di intonaci ed affreschi. Di fondamentale importanza verificare la qualità della calce, essa deve derivare dalla cottura di carbonato di calcio o di magnesio e deve avere avuto una sedimentazione o spegnimento,  in acqua, di almeno 2 anni. I grasselli a spegnimento forzato, oggi molto diffusi in commercio, sono da evitare nel restauro, poiché  hanno un potere legante risibile.  Recentemente si è diffusa la commercializzazione di calce idrata in polvere ovvero già essiccata, anche questa forma  è da evitare nel restauro, poiché il potere legante della carbonatazione, che evidentemente non può verificarsi, potrebbe essere sostituito da additivi chimici.

Il Bianco di San Giovanni, è un meraviglioso colore dall’aurea quasi mitica, è di origine minerale e deriva dalla calce idrata. Non esiste in commercio, ma chi avesse qualche settimana di tempo può sempre provare prepararlo. Del bianco di San Giovanni ne parlano i trattati antichi come il “libro dell’arte” del Cennino Cennini. Vi si indica come prepararlo partendo dalla calce idrata; in sintesi si debbono formare delle palle di calce, lasciarle essiccare, quindi bagnarle con acqua demineralizzata, rimpastare, formare altre palle e ripetere l’operazione per sette o 10 volte. Alla fine si ottiene una polvere bianca candida che ha perduto il potere legante della calce trasformandosi in un pigmento di calce. È molto utilizzato negli affreschi antichi  ed è riconoscibile per il candore della calce unita ad un corpo spesso e compatto, la calce idrata infatti non potrebbe essere usata a corpo poiché polverizzerebbe entro breve.

 

Il Gesso o solfato di calcio biidrato, è un minerale di cavatura estremamente versatile e, a seconda della sua lavorazione assume forme diverse che offrono una quantità incredibile di utilizzi in ambito artistico e architettonico. Dagli scarti della lavorazione del gesso deriva il caolino, il gesso a seconda del grado di sedimentazione può essere bianco polveroso o cristallino trasparente (quarzo). Nella sua forma più polverosa (solfato di calcio) si ottengono i gessetti da lavagna che mescolati a pigmenti in polvere divengono gessetti colorati. Nella sua forma più cristallina i frammenti di quarzo molto utilizzati nelle paste e tinteggiature da esterno, per lo più legate con materiali sintetici o acrilici. Tra questi due estremi vi stanno una quantità incredibile di varanti del materiale. Uno dei più noti è la  scagliola (solfato d calcio emiidrato) è un  gesso in polvere che attiva una reazione chimica di tipo termico quando viene mescolato all’acqua e indurisce in breve tempo. La scagliola è molto utilizzata in architettura,  per decori plastici e per le finiture lisce delle pareti o per la creazione del carton-gesso. È uno dei componenti principali degli stucchi antichi, spesso mescolata alla calce idrata che ha il potere di rallentare la presa della scagliola e rendere più compatto e resistente il composto finale. La scagliola per via della sua capacità di indurimento veloce è presente in tutti i cementi, caldane e le malte a presa rapida. È bene  considerare un dato negativo della scagliola, la sua alta igroscopicità la rende inadatta a luoghi umidi o esposti alle intemperie. Utile ricordare che anche il più tenace dei cementi rapidi sarà sempre collettore di umidità. La scagliola è assai poco raccomandata in caso di restauro.

 

Il Bianco di Spagna è un carbonato di calcio molto sottile di granulometria, è un minerale naturale, a volte è mescolato ad altri carbonati di calcio,  non ha il potere coprente di altri bianchi e spesso viene utilizzato  come inerte carbonatico piuttosto che come pigmento nelle pitture murali, per comporre degli stucchi oppure come finissimo abrasivo per levigare le lastre di zinco utilizzate nell’incisione ad acquaforte. A differenza del Bianco di Bologna non si sposa perfettamente con le colle organiche poiché tende ad avere nel tempo deformazioni e tensioni difformi della superficie..

Il Bianco di Bologna detto anche gesso di Bologna è un solfato di calcio biidrato deriva dal gesso ed è completamente inerte e, come il bianco di Spagna è perfetto nella composizione degli stucchi, si sposa perfettamente  con le colle organiche e costituisce il tipico stucco per il restauro dei dipinti, la mestica o preparazione delle tele da dipingere e la base perfetta per le cornici dorate a foglia e bolo. Di contro non ha un grande utilizzo come pigmento per uso pittorico e teme l’umidità

Il Litopone è composto da solfuro di zinco e solfato di bario precipitati è un pigmento minerale molto stabile alla luce e compatibile con un gran numero di leganti organici e inorganici diffuso sia come pigmento per idropitture che per tempere

Il Bianco di Zinco è un pigmento di origine minerale ma ottenuto mediante un processo di sintesi dai vapori dello zinco bruciato ad alte temperature. Ha una buona stabilità alla luce ed una certa trasparenza, è infatti meno coprente del bianco di titanio. Si è diffuso sul mercato prima Francese e poi europeo dagli inizi dell’ottocento e il suo utilizzo è eminentemente pittorico.

 

Il Bianco di Titanio è un colore molto recente, infatti la sua formula è stata messa a punto e commercializzata nel primo ventennio del XX sec. è un  pigmento di origine minerale (biossido di titanio) ma ottenuto con un processo di sintesi, per cui è un pigmento minerale di sintesi. E molto coprente e sbiancante, ha un ottima resistenza alla luce  ma nel tempo tende a degradarsi per polverizzazione ed essiccazione

Questi sono i bianchi che mi sono venuti in mente, se ne conoscete altri, aggiungeteli nei commenti

Testi Dott.saSilviaConti©RestauroConservativo

Colore

Colore

Tutti sappiamo cos’è il colore, riempie la vita di ognuno di noi, ogni giorno, tutto quanto ci attornia ha un colore; il cielo, il paesaggio, la nostra auto, le scarpe che indossiamo ed anche la nostra pelle, i nostri occhi e i nostri capelli. Potremmo ben dire che il colore è parte di noi.

Da un punto di vista fisico il colore è la capacità di una data  materia di rifrangere la luce o meglio il colore è ciò che il nostro cervello recepisce sotto forma di  radiazioni elettromagnetiche o frequenze di ciò che emana quella data materia in presenza di luce.

Se proviamo a pensare al significato profondo della percezione cromatica ci rendiamo conto di quanto il colore,  così amichevole e familiare ad ognuno di noi, nasconda un tema  vasto e complesso, direi ciclopico e come se non bastasse, in continua evoluzione. Basti dire che di colore si occupano la fisica, la chimica, la fisiologia, l’ottica, la psicologia e chissà quante altre scienze. Inoltre è materia della storia dell’arte, della simbologia, della filosofia e di chissà quante altre materie umanistiche.

Ogni patria, ogni religione, ogni congregazione, ogni associazione, ogni squadra sportiva, ogni società per azioni ha i propri colori resi simbolo in loghi, vessilli o bandiere.

I colori che meglio conosco e di cui posso occuparmi in questo mio blog sono quelli materiali, dalle caratteristiche chimico fisiche tangibili e misurabili, peso specifico, granulometria, acidità, basicità, potere colorante, stabilità alla luce, etc.

Sto parlando dei pigmenti

Nel restauro si usano i pigmenti puri, o quantomeno si dovrebbero usare, conoscerne le caratteristiche è fondamentale per la buona riuscita di un intervento di restauro. I pigmenti infatti hanno caratteristiche chimico fisiche peculiari che li rendono più o meno adatti all’utilizzo in una data situazione. Più o meno resistenti  alla calce quale medium o alla luce per esposizione.

             

I pigmenti si suddividono in categorie, classi e sotto classi

Innanzitutto possono essere organici o inorganici, naturali o di sintesi, la gamma è vastissima e in continua evoluzione. Restringerò quindi il campo ai pigmenti utilizzabili nel restauro che, guarda caso, corrispondono alla gamma dei pigmenti utilizzati nella maggior parte delle opere d’arte antiche (dipinti, affreschi ed opere policrome in genere).

I pigmenti della tradizione storica si possono raggruppare nelle seguenti categorie

  1. Pigmenti di terra o di cavatura
  2. Pigmenti minerali
  3. Pigmenti vegetali
  4. Pigmenti animali

Per dare un idea concreta di questa suddivisione farò alcuni esempi che certo non possono esaurire l’intera gamma:

I pigmenti di terra sono i più diffusi e variano dai gialli ocra alle terre d’ombra naturali o bruciate, ai bruni

 

I pigmenti minerali sono per lo più azzurri, alcuni verdi, blu, violetti ma anche il grigio grafite

    

I pigmenti vegetali sono alcuni verdi, alcuni gialli, il nero di vite

   

I pigmenti animali sono i rossi, tipo di cocciniglia o la porpora e il nero avorio

   

Nei prossimi articoli approfondirò il dettaglio alcuni singoli pigmenti

Una nota doverosa per gli ossidi , sono i colori in polvere più diffusi e meno costosi, nascono per l’industria della ceramica. Spesso vengono confusi con i pigmenti di cui sopra ma vanno utilizzati con cognizione di causa nell’arte in genere, mentre nel restauro non vanno utilizzati affatto, per via della loro instabilità, infatti questi colori trovano la loro stabilità solo a seguito di cottura.

Testi SilviaConti©RestauroConservativo

Color

We all know what color is, fills the lives of each of us, every day, everything that surrounds us has a color; the sky, the landscape, our car, the shoes we wear and even our skin, our eyes and our hair. We could say that color is part of us.

From a physical point of view, color is the ability of a given matter to refract light or rather color is what our brain transpires in the form of electromagnetic radiation or frequencies of what emits that given matter in the presence of light.

If we try to think about the deep meaning of color perception, we realize how color, so friendly and familiar to each of us, conceals a broad and complex theme, I would say cyclops and as if it were not enough, constantly evolving. Suffice to say that color is concerned with physics, chemistry, physiology, optics, psychology and many other sciences. It is also a matter of the history of art, of symbolism, of philosophy and of many other humanities.

Every homeland, every religion, every congregation, every association, every sports team, every corporation has their own colors rendered as symbols in logos, banners or flags.

The colors that I know best and which I can deal with in this blog are material materials, tangible and measurable physical chemical characteristics, specific weight, granulometry, acidity, basicity, coloring power, light stability, etc.

I’m talking about pigments

In the restoration pure pigments are used, or at least they should be used, to know the characteristics is essential for the successful restoration work. In fact, pigments have peculiar physical chemical characteristics that make them more or less suitable for use in a given situation. More or less resistant to lime as medium or light for exposure.

The pigments are divided into categories, classes and subclasses

First of all, they can be organic or inorganic, natural or synthesized, the range is vast and constantly evolving. I will then restrain the field to the pigments that can be used in the restoration which, by chance, correspond to the range of pigments used in most antique works (paintings, frescoes and polychrome works in general).

Dettagli – Terra

La terra non è il mio elemento preferito, eppure non posso sottrarmi al fascino della sua possente versatilità.

Quando si osserva l’architettura storica di certe aree urbane, soprattutto in pianura, dove abbonda l’argilla, ci si deve rendere conto che tutto attorno a noi, non è altro che terra!

È stupefacente

 

Eppure quelle città, quegli edifici, quelle chiese sono terra, sapientemente plasmata dalla fatica e dall’ingegno dell’uomo.
I mattoni di terracotta sono terra argillosa cotta nei forni. Piccoli moduli resistenti che ben assemblati e legati con malta di calce, possono generare un possente muro di difesa così come leggiadri elementi decorativi.

La malta che lega, unisce e alletta i mattoni è composta per due terzi di sabbia di fiume o terra di campo, il rimanente terzo è calce, un legante minerale derivante dalla cottura del calcaree

…che in fondo, in fondo non è altro che terra sterile, sedimentata nei millenni.

 I colori che decorano gli edifici sono in gran parte di cavatura,  chiamati genericamente “terre”; i gialli ocra e di Siena, i bruni, le terre bruciate generano alcuni rossi che virano all’arancio, ed altri ancora, con infinite varianti a seconda delle zone, dei minerali presenti e delle caratteristiche chimico fisiche della terra. Colori legati, schiariti e mescolati con calce idrata, la terra sterile di cui sopra.

Ed è sempre terra
“Terra e acqua” per l’esattezza, (e per citare una bellissima canzone di Giovanna Marini). Già perché l’argilla è plasmabile grazie all’acqua che la imbeve e la calce si spegne e si diluisce con l’acqua.

Terra e acqua così come per tutto attorno a quelle città di terracotta, i campi coltivati, le rogge, i fiumi.

Poi ci sono i materiali di finitura. Una buona dose di legno, (che nasce dalla terra) per il legname che forma i solai e gli infissi, un pizzico di ferro, (che si estrae dalla terra) per le catene ed i capo-chiave, vetro, (i cui minerali si trovano nella terra, vedi la silice), per le finestre, ed ecco la nostra città .

Un chiosa sull’evoluzione; dalla metà del ‘900 si è diffuso a macchia d’olio l’uso del cemento, che in fondo è una terra vetrificata dalla cottura del clinker ad oltre 1000 gradi. Le città di terracotta non  amano molto la sua rigidezza e tendono a respingerlo con macchie di umidità e orribili deformazioni, così come i colori sintetici disciolti in materiale plastico, anch’essi respinti, espulsi, macchiati, deformati.

Così mi viene da pensare che, in fondo per comprendere i fondamenti della conservazione e del restauro basterebbe ascoltare i messaggi che i nostri manufatti storici ci mandano, che sono forti e chiari. Basta osservare, con un poco di pazienza.

 

Testi e immagini

SilviaContiRestauroConservativo

 

la poetica del muro scrostato

Nell’accezione più normale e consona ai nostri tempi, la vista di un muro scrostato genera una sensazione di incuria e degrado, quasi di pudore di fronte alla manifesta decadenza.

Per i restauratori no. Il muro scrostato è una finestra sulla storia

Un lampo di interesse alla sola vista

Se poi tra gli strati degli intonaci decadenti si dovesse  intravedere qualche malta antica, qualche policromia, ecco che l’interesse si tramuta in gioia infantile mista ad un desiderio irrefrenabile di metterci mano, di tuffarvisi, di scoprire un pezzo in più, per vedere, comprendere e capire.

Da questa deformazione professionale, presumibilmente, sono nati i saggi stratigrafici, che nella percezione scientifica sono finalizzati a sondare la stratificazione storica degli intonaci e  nella percezione antropologica a dare una gioia ai restauratori

Uno degli aspetti più divertenti del mio lavoro

Sulle pareti di un qualsiasi edificio storico, tra gli strati di malte, stucchi e colori, si possono cercare tracce di stili, frammenti di vita. Si può capire quale fosse il colore e quindi il gusto di un dato periodo storico, si possono trovare firme incise secoli or sono.

Si può dedurre la tecnica costruttiva di un edificio.

Si possono comprendere le provenienze dei materiali e la loro modalità d’impiego. Possiamo persino capire con quale frequenza veniva tinteggiato un manufatto e, se siamo fortunati, possiamo trovare un affresco o un decoro … il nostro santo graal!

Testi e immagini Dott.ssaSilviaConti©Restauro Conservativo 

In the most normal sense of our times, the sight of a scruffy wall causes a feeling of incurability and degradation, almost modest for that manifest decay.

Not for restorers. The riddled wall is a window on history

A flash of interest at the sight alone

If some of the plasteres were to glimpse some ancient mortar, some polychromes shift interest into mixed childhood joys to an irrepressible desire, to find out more, to understand, to understand.

From this professional deformation, presumably, the stratigraphic essays were born, which in the scientific perception are intended to probe the historical stratification of the plaster and anthropological perception to give joy to the restorers

One of the funniest things about my work

On the walls of any historic building, among the layers of mortar, you can look for traces of styles, fragments of life. You can understand what the color of a given historical period is, you can find signs engraved centuries before. One can deduce the construction technique of a building.

You can understand the origin of materials and how they are used. If we are lucky we can find a fresco or a decoration, that is our holy grail!

“Il restauro, l’arte e la moda” dalla rivista Kinetès

La rivista d’arte e cultura “Kinetès” ha pubblicato un articolo, da me redatto, dal titolo

“Il restauro, l’arte e la moda”

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Messa in sicurezza – Securing

In alcuni casi non è possibile mettere a punto e realizzare il miglior intervento di restauro possibile. Questo accade spesso, più di quanto si possa immaginare, per le più disparate motivazioni, economiche, burocratiche, normative, etc.

In questi casi risulta utile effettuare una messa in sicurezza degli elementi decorativi a rischio di caduta.

Si tratta in sostanza di una prima fase di consolidamento, che può riguardare intonaci, affreschi, elementi scultorei o lapidei.

Una serie di operazioni atte a consentire al manufatto storico di mantenere uno stato di conservazione accettabile.  Una sorta di “restauro liofilizzato ” che comunque deve seguire i procedimenti ed i parametri stessi del restauro conservativo. Affinché vi sia il tempo per mettere a punto un progetto più ampio, con i fondi necessari, per la realizzazione di un restauro conservativo completo.

 

La messa in sicurezza non mostra risultati apprezzabili sotto il profilo estetico ma garantisce di allungare la vita ai manufatti storici.

 

 

 

 

 

Testi e immagini Dott.ssa Silvia Conti©Restauro Conservativo

In some cases it is not possible to make the best restoration possible.This is often, more than you can imagine, for the most varied reasons, economic, bureaucratic, normative, etc.

In these cases, it is useful to ensure the decorative elements at risk of falling.

A first stage of consolidation, which may concern plaster, fresco, sculptural or stone elements.

A series of operations to allow the historic artifact to maintain an acceptable state of conservation

Waiting for a larger project to  complete conservation restoration.

Securing, does not show remarkable aesthetic results, but guarantees to extend the life of historic artifacts

Elementi di portfolio