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Il restauro e il volo del cigno

Sogno di un mattino di mezza primavera

Vorrei veder volare l’arte della conservazione del patrimonio, come un cigno.

I cigni faticano a decollare per via della  loro mole, ma quando volano, con le loro grandi ali ed il collo lungo a far da timone, volano più in alto di tutti i volatili

 

Ecco vorrei vedere la mia professione decollare … Non necessariamente per un mero risvolto utilitaristico, vorrei vedere diffondersi la cultura della conservazione e del patrimonio

Semplicemente vorrei che fosse di dominio pubblico il fatto che  il patrimonio storico artistico, sotto le sue infinite forme, sia la nostra storia, sia parte di noi. Così, come la nostra lingua. Ecco proprio un linguaggio comune, senza il quale saremmo relegati ad un eterno balbettio, indotto dall’assenza di memoria

Vorrei spazzare via, con colpo d’ali, tutti i preconcetti sul restauro e la conservazione

Vorrei che fosse ovvio che tra un manufatto stratificato di storia ed una nuova edificazione si debba scegliere il primo, essendo disposti ad accettarne le difformità da un gusto dominante e preconcetto del bello

Vorrei che fosse doveroso per tutti conservare anche ciò che non si considera”bello”, in virtù della sua storia

In virtù del rispetto. Rispetto  per chi ha progettato per chi ha realizzato, per chi ha posseduto, vissuto, modificato, amato quel manufatto. E, dalle nostre mani, debba arrivare alle future generazioni con il suo carico di storia e insegnamenti.

Purtroppo in questo momento storico, chi si occupa di conservazione e restauro non è che un brutto anatroccolo

I motivi sono molti, sono culturali, economici ed utilitaristici

In ogni caso mi preme inviare il mio plauso a tutti coloro i quali, con la loro supponente miopia economica, stanno lasciando deperire un grande patrimonio di storia, arte e bellezza

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Le malte gli intonaci ed il confine tra edilizia e restauro

L’argomento che ho scelto di trattare in questo articolo riguarda un’area d’interesse estremamente vasta

Riguarda il restauro ma anche l’edilizia, qualora si trovi ad operare su manufatti storici.

Desidero parlare di malte ed intonaci

Fatte le doverose  distinzioni, dettate da materia prima, aree geografiche ed evoluzione tecnologica, si tratta di una tecnica incredibilmente longeva, poiché  utilizzata ininterrottamente dall’antichità sino ai giorni nostri!

L’intonaco è quel composto polimaterico che deriva dalla miscelazione di una parte di legante  e due o tre parti di inerte (in polvere o comunque di granulometria medio piccola). Detti componenti vengono mescolati e condotti allo stato semi fluido (malta) mediante l’aggiunta di acqua, quindi il composto viene steso in strati sul supporto prescelto.

Detto supporto può essere rappresentato dalle superfici di un edificio, la cui struttura potrà essere in pietra, laterizio  o altro ancora. La condizione necessaria per l’applicazione dell’intonaco è che il, supporto abbia una, seppur minima porosità. Dopo la stesura, la malta, raggiunge lo stato solido attraverso l’essiccazione, la carbonatazione o la silicizzazione, divenendo così intonaco.

Dobbiamo considerare che l’intonaco ha infinite varianti dettate sia dal componente inerte che dal  legante, oltre che dalla granulometria e dalla modalità di utilizzo. Si pensi che il medesimo composto,  con legante di calce idrata, manipolato con sapienza  tecnico metodologica specifica, può generare intonaco da allettamento per murature semplici, così come stucchi aggettanti  o ancora stucchi veneziani o affreschi. Questo per dare l’idea della grande versatilità di questa materia.

Al fine di comprendere chiaramente quali intonaci siano pertinenti e compatibili con azioni conservative, di restauro  o genericamente compatibili con manufatti storici, si rende utile conoscere i principali tipi di intonaco in circolazione

Nella seguente tabella elencherò i principali tipi di intonaco suddivisi a seconda della tipologia di legante e della compatibilità con il manufatto storico:

Di seguito una breve descrizione dei diversi tipi di intonaco elencati nella tabella

L’ Intonaco di calce idrata – L’intonaco con il legante aereo per eccellenza, deriva dalla cottura della pietra  calcarea (calce viva) messa poi a spegnere in vasche di acqua e stagionato per almeno 2 anni. Si tratta del più antico dei leganti, per fare un esempio, gli intonaci interni alle piramidi egizie sono di questa natura, così come gli affreschi di ogni epoca e gli stucchi Veneziani. Per ovvi motivi è il più direttamente compatibile con i manufatti storici. Asciuga in presenza di aria e, grazie all’anidride carbonica in essa contenuta consolida attraverso il particolarissimo processo chimico della carbonatazione. I Romani vi aggiungevano pozzolana per conferire caratteristiche idrauliche all’intonaco, ma oggi abbiamo la calce idraulica

L’intonaco di calce idraulica – ha il medesimo componente della calce idrata, si tratta di idrossido di calcio, ottenuto mediante cottura del calcaree ma a delle gradazioni più alte rispetto alla calce idrata. Questo intonaco asciuga anche in presenza di acqua e umidità, per questo è detto “idraulico”. La calce idraulica naturale è contraddistinta in commercio dalla sigla NHL (Natural Hidraulic Lime). ATTENZIONE in assenza della sigla NHL non è calce naturale a seguire NHL possiamo avere un numero 2,5- 3,5 – 5,  in sintesi si tratta del grado di tenuta della calce  al centimetro cubo (esempio 3,5 Kilo Newton al centimetro). L’intonaco di calce idraulica possiede un ottima compatibilità con i manufatti storici ed è particolarmente indicato per i quelli collocati in zone umide e fredde.

L’intonaco ai Silicati di Potassio è caratterizzato da un legante silicico, il silicato di potassio, che ha il potere di aderire al supporto con grande tenacia. Un modo semplice per visualizzare  il meccanismo di presa del silicato di potassio (silicizzazione) consiste nell’immaginare che la parte fluida  dell’intonaco sia del vetro liquido con il potere di penetrare in ogni anfratto e di  inglobare i pigmenti ed i granelli di inerte e quindi di legarsi indissolubilmente al supporto, garantendo al contempo una buona traspirazione. Questo tipo di intonaco nasce dall’invenzione dei  colori ai silicati (silicato di potassio + pigmenti minerali) brevettati in Baviera  da Adolf Whilelm Keim nel 1878, tale idea era volta a consentire, anche nei luoghi freddi e umidi, di decorare le pareti esterne ottenendo risultati simili alla decorazione a fresco. Oggi i silicati forniscono una vasta gamma di colori e intonaci colorati di ottima qualità. Questo intonaco ha un aspetto naturale con lievi differenze cromatiche e non è di facilissimo utilizzo poiché, come gli intonaci di calce, tende a segnare le giunzioni e le differenze cromatiche dei diversi tipi di assorbimento del supporto. Per le sue caratteristiche trovo sia un intonaco ottimo per manufatti otto – novecenteschi e nel caso in cui si debbano consolidare calci idrauliche o  cementi novecenteschi dei palazzi liberty o Decò, oppure in luoghi freddi, per il resto è comunque preferibile la calce idrata o idraulica. Vi è un dato a cui si deve prestare attenzione nell’utilizzo  di questo prodotto, non si deve cedere alle sirene della distribuzione commerciale che spesso consiglia vivamente e associa  un buon intonaco ai silicati di potassio ad  una finitura ai colori silossanici, che contengono resine sintetiche, e andrebbero a rovinare l’intento conservativo del prodotto ai silicati di potassio.

L’intonaco di loppa basica granulare d’altoforno merita una riflessione particolare, poiché questo legante dall’azione idraulica latente, generata da leganti idraulici da miscela è poco studiato, poco conosciuto ma temo, molto più diffuso di quanto non si possa immaginare. La loppa basica granulare d’altoforno è un residuo della lavorazione della ghisa, che, si è evidenziato avere del potere legante. Circa una decina di anni or sono la commissione per le normative comunitarie della comunità Europea ha inserito questo materiale tra i leganti idraulici. Non esistono in bibliografia studi specifici approfonditi in relazione all’utilizzo di tale legante su manufatti storici, ma il fatto che sia una scoria della lavorazione siderurgica da da pensare che non si tratti propriamente di acqua di fonte e quindi potrebbe essere dannosa per la conservazione di un manufatto storico. Un ulteriore dato sospetto è che sono pochissimi gli intonaci premiscelati dove si dichiari palesemente che il legante sia loppa d’altoforno, ed è qui il punto! Se fosse ovvia la bontà del prodotto perché mai commercializzarlo sotto mentite spoglie? A causa di vari trucchi commerciali ,  chi si occupa di manufatti storici e restauro deve prestare una grande attenzione, spesso agli intonaci di loppa d’altoforno vengono commercializzati con generiche indicazioni di intonaco a base di calce. La loppa d’altoforno ha costi molto contenuti ed è di colore grigio. Due piccole accortezze ci possono aiutare ad individuare il vero legante dell’intonaco premiscelato

  1. La calce idraulica naturale NHL è di colore bianco o beige o terra naturale chiara, MAI GRIGIA! diffidiamo dei premiscelati di questo colore
  2. I sacchi che inseriscono a caratteri cubitali sulle indicazioni NON AGGIUNGERE CALCE hanno ottime probabilità di contenere loppa d’altoforno, che notoriamente ha reazioni avverse con la mescolanza alla calce naturale, sopratutto idrata. Diffidiamo quindi dei premiscelati che riportano tale indicazione

Intonaco di calce eminentemente idraulica è un altro intonaco con legante derivante da una miscela, quindi non naturale, e dall’attività idraulica latente. Come la loppa d’altoforno è dichiarato legante idraulico dalla CEE ma cosa contenga di preciso non è facile comprendere. Genericamente è di colore grigio ed ha un costo molto contenuto, risulta essere particolarmente dannoso per i manufatti storici poiché spesso contiene polimeri o scarti del cemento, quei residui che non hanno raggiunto le caratteristiche di tenuta richiesti per divenire Portland, vengono miscelati con chissà cos’altro e impacchettati come calce eminentemente idraulica. E’ un materiale pericolosissimo per il restauro, poiché si propone sotto le mentite spoglie della calce, ed ha invece tutte le caratteristiche negative, ormai note, del cemento e non possiede neppure quelle positive come la tenuta.

Intonaco di cemento, è quasi inutile parlarne, tutti lo sanno, è quanto di più controindicato possa esistere nel campo della conservazione dei manufatti storici. Tuttavia è sempre molto diffuso, ha un basso costo ed una facilità incredibile di lavorazione. Mentre per la calce le conoscenze tecniche sono indispensabili al fine di realizzare un intonaco di qualità, l’intonaco di cemento riesce  sempre, anche se realizzato da un neofita, facile e veloce, per questo è così amato dalle ditte edili. Il cemento deriva dalla cottura del clinker ad altissime temperature, contiene molti agenti leganti diversi tra loro ed il suo procedimento di presa e indurimento è così complesso che ancora non è perfettamente chiaro neppure per i chimici. Per il restauro è molto dannoso, è troppo rigido, attira tutti i sali solubili di nitrato del circondario, attira l’umidità che induce disgregazione agli intonaci di calce idrata circostanti, è igroscopico e chi più ne ha più ne metta. Intendiamoci se desiderate realizzare una nuova costruzione in cemento armato, la finitura in cemento sarà perfettamente compatibile ma nei manufatti storici no! È un incubo.

Intonaco con leganti acrilici o sintetici genericamente difinito al quarzo per il tipo di inerte utilizzato. Normalmente è un composto di inerti legati per polimerizzazione del legante di tipo acrilico, resinoso o di sintesi. È molto diffuso, anzi è il più diffuso in assoluto, trova utilizzo per la finitura delle facciate di ogni genere, dalla villetta a schiera alla facciata del museo. Lo troviamo sotto  forma di intonaco colorato in pasta, con granulometria sottile oppure grossa e difforme che crea ombre di pseudo antichità sulle superfici trattate, oppure come stucco liscio alla veneziana. Presenta  una gamma immensa di colori da quelli pieni e compatti a quelli iridescenti, perlescenti o brillantanti. A corredo ha sempre un aggrappante da stendere, sulla povera muratura, prima della realizzazione e magari una velatura collosa da usare come finitura e creare l’effetto finto antico anzi per usare un neologismo diffuso “antichizzazione”.  Molto versatile, il componente  acrilico o di sintesi può essere aggiunto a quasi tutti gli altri materiali creando mix micidiali per la conservazione degli intonaci antichi. A differenza degli intonaci ai silicati o di calce è di semplice utilizzo, ha colori piatti e uniformi  può raggiungere  gradazioni tonali molto accese, risulta sempre uniforme e compatto resiste per lungo tempo, immobile come un rifiuto di plastica al mare, nel frattempo inquina tutto ciò che lo circonda.  Quando degrada, presenta delle deformazioni superficiali e distacchi, delle bolle alla “alien”  e quando le bolle si lacerano,  l’intonaco si sfoglia, con il tipico effetto della fetta di prosciutto, mentre al di sotto dalle murature antiche, arrivano segnali di vita ed esplodono i sali solubili di nitrato e, facendo attenzione si può sentire il respiro del manufatto storico che era stato imbavagliato per anni. La superficie muraria trattata con questo materiale non presenta differenze cromatiche di sorta e ciò contribuisce ad ottenere un caratteristico effetto “nuovo” alla superficie trattata. Forse per questo è ritenuto “irresistibile” e ricopre con la sua coltre sintetica oltre il 60% dei manufatti storici delle città italiane. Avete capito bene il 60.  L’empatia con la plastica dev’essere la ragione del suo incredibile successo, poiché non è attribuibile a ragioni economiche, è un materiale di facile utilizzo ma per nulla economico, anzi può raggiungere costi importanti. Dal mio punto di vista ritengo che si tratti di un fenomeno dai risvolti antropologici con palesi ricadute sul paesaggio, un fenomeno da studiare. Chissà mai che si trovi una cura!   Ovviamente è altamente controindicato per i manufatti storici

Dopo aver elencato le più diffuse tipologie d’intonaco ed averne individuato la compatibilità o meno con il manufatto storico, ci si può addentrare nel merito delle modalità compatibili al concetto di restauro, mi spiegherò meglio. Vorrei indagare proprio  in modo semplice e schematico quella sottile linea di demarcazione che si trova tra il restauro di superfici decorate dell’architettura e l’edilizia.

Al fine di applicare delle modalità conservative non basta individuare l’intonaco corretto da utilizzarsi su un dato manufatto, ma si rende necessario applicare tutte le procedure di un vero e proprio restauro. Spesso infatti passano sotto la denominazione di “restauro” azioni che nulla hanno a che vedere. Nello specifico elencherò alcune fasi di lavorazione che passano erroneamente per conservative:

Demolire tutti gli intonaci di un palazzo, antichi, di evoluzione stilistica e recenti  e sostituiti con nuovi, seppur compatibili NON È CONSERVAZIONE E NEPPURE RESTAURO

Ricoprire gli intonaci di finitura antichi con intonaci nuovi, seppur compatibili NON È RESTAURO

Le demolizioni sono compatibili con il restauro solo quando interessano la rimozione di un intonaco incongruo e dannoso per il manufatto (tipo intonaco cementizio)

Il restauro è conservare gli intonaci antichi e storicizzati ed integrarli nelle loro parti mancanti, infine, se sarà necessario si potranno armonizzare dal punto di vista cromatico. TUTTO IL RESTO È EDILIZIA!

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Bando CARIPLO aggiudicato!

…. E dopo un duro lavoro ecco una soddisfazione

ci siamo aggiudicati un contributo legato al bando Cariplo per i primi due interventi dei cinque previsti nel nucleo storico da Amministrazione Comunale e Parrocchia nel comune di Lovere

 

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Restauro intonaci torre civica e consolidamento strutturale copertura della Chiesa dedicata a San Giorgio

Giacomo Leopardi “all’Italia”

In tempo elettorale, con paura e speranza per la nostra nobile ma povera e bistrattata professione, lascio la parola a Giacomo Leopardi

“all’Italia”

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.

Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov’è la forza antica,
Dove l’armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl’italici petti il sangue mio.

Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti? e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L’Itala gioventude? O numi, o numi:
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da nemici altrui,
Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.

Oh venturose e care e benedette
L’antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre;
E voi sempre onorate e gloriose,
O tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch’alme franche e generose!
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere
De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l’Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d’Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l’etra e la marina e il suolo.

E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch’offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell’armi e ne’ perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
Come sì lieta, o figli,
L’ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:
Ma v’attendea lo scuro
Tartaro, e l’onda morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l’aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.

Ma non senza de’ Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L’ira de’ greci petti e la virtute.
Ve’ cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra’ primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Ve’ come infusi e tinti
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d’infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.

Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell’imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall’uno all’altro polo.
Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest’alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch’io per la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.

 

Restauro – Nuovi materiali, come agire

Nel panorama del restauro i materiali da utilizzarsi nelle varie fasi di lavorazione hanno varie derivazioni.

Si sa, il restauro è una disciplina relativamente recente e, nella sua fase iniziale, come un saprofita si è avvalso degli studi e dei materiali nati per altri settori. Sperimentando di volta in volta, applicando  piccoli aggiustamenti procedurali il dato materiale al singolo intervento di restauro.  Sino a che non ha preso forma una categoria, più o meno eterogenea e variabile, di materiali specifici per il restauro.

Acque, solventi, agenti e reagenti, consolidanti, malte, stucchi, mestiche, batteri , cere, boli,  bitumi, adesivi, fissativi, pigmenti, resine e vernici.

Materie prime e composti complessi,  per comprendere i quali è necessaria una certa qual predisposizione all’alchimia. Penso alle ricette della colla – pasta per la foderatura dei dipinti, ogni area geografica, ogni scuola, ogni studio di restauro ha una propria ricetta. Ricette complesse onnicomprensive con mille e più accorgimenti metodologici, più o meno segreti, per raggiungere il risultato voluto.

    

In sostanza, vuoi per formazione vuoi per consuetudine i restauratori sono abituati ad avere a che fare con i materiali più diversi al fine di  svolgere il proprio mestiere.

Negli ultimi anni, seppur con un’intensità minore a quella riservata per altri settori, sono comparsi sul mercato nuovi materiali per il restauro. Stucchi e malte già pronti, prodotti per la pulitura, tutti ben confezionati e promettenti.

Ora, non si può che essere felici che l’industria si stia in qualche misura occupando di creare prodotti appositi per il restauro

    

Tuttavia vi è il rischio dell’immissione sul mercato di materiali per il restauro, detti tali solo al fine di accaparrarsi una fetta di mercato in più, ma nella sostanza del tutto identici a quelli già diffusi per altri settori, tipo quello dell’edilizia.

E’ nella natura del restauro e nell’attitudine dei restauratori cercare e sperimentare sempre nuovi materiali e nuove metodiche di restauro. Quindi ben vengano i nuovi materiali. Ma proprio per questo motivo è bene assumere un atteggiamento di analisi critica costruttiva nei confronti dei nuovi materiali, al fine di testarne la reale efficacia nel nostro settore.

Che ne caso del restauro significa sopratutto; compatibilità con il materiale da restaurare, durata nel tempo e reversibilità.

Innanzitutto avremo la necessità di verificare i contenuti reali di un dato prodotto, quindi inizieremo con reperire notizie chiedendo la scheda tecnica al produttore. Non dobbiamo ne possiamo fidarci delle informazioni commerciali che, il più delle volte, per rispondere a parametri di comprensibilità sono povere  di dettagli. Per deformazione professionale i prodotti definiti  “a base di…” mi suscitano una certa diffidenza, sopratutto quando accade di scoprire che l’elemento tanto decantato sull’etichetta quale “base” compare nella composizione reale  in un valore risibile.

I nuovi materiali vanno poi testati, esattamente come accade nell’industria farmaceutica, dopo la messa a punto in laboratorio  si giunge alla fase di sperimentazione. Così i nostri nuovi materiali andranno testati, da noi stessi, anche se le ditte produttrici lo hanno già fatto, affinché ognuno possa verificare se possano trovare utilizzo nei propri casi specifici di restauro.

Possibilmente utilizzeremo quale  test l’intonaco della nostra cantina, o la crosta dipinta del soggiorno della zia, oppure i gradini del giardino vicino  casa. In nessun caso va utilizzato un nuovo materiale non testato su di un manufatto di pregio. Daremo anche del tempo utile alle nostre prove  affinché gli eventuali elementi problematici possano emergere e palesarsi.

Poi ci confronteremo con i colleghi e verificheremo se qualcuno abbia già raccolto una casistica degna di nota dell’utilizzo del dato materiale … Infine, se proprio ne saremo convinti, potremo utilizzarlo.

… a questo punto della considerazione, chi non aveva la vocazione del restauratore si sarà già tramutato in una statua di sale.

Gli pseudo restauratori saranno alle prese con i danni prodotti dall’utilizzo di un materiale non testato.

Mentre i committenti e le direzioni lavori  si staranno chiedendo in quale girone infernale siano caduti, per  dover sopportare le nostre stranezze!

 

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo 

 

 

 

Il codice Urbani (dlgs 42 del 22 gennaio 2004)

Quando si parla di restauro di oggetti soggetti ad atto di vincolo diretto o indiretto, quando si parla di paesaggio e di beni di interesse storico artistico è bene avere sempre come punto di riferimento la normativa vigente.

In Italia  i beni culturali e paesaggistici sono normati dal decreto legislativo 42 del 2004, detto codice Urbani dal nome del ministro che lo firmò (Giulio Urbani).

 

Ritengo sia un documento di fondamentale importanza per chi lavora in questo settore, da tenere sempre a portata di mano. Utile da consultare ogni qual volta si debba considerare qualche caso specifico e comprendere quale sia il giusto percorso da intraprendere

Per questo lo metto a disposizione di chi volesse intraprendere l’amena lettura al seguente link della gazzetta ufficiale

→Clicca qui per accedere al testo del decreto Urbani

Materia e restauro

In questo articolo intendo parlare della materia del restauro e della materia nel restauro

Può sembrare un gioco di parole ma in fondo non  non lo è,  non quando si parla di  restauro. Poiché ciò di cui mi occupo è una disciplina strettamente connessa alla materia e sono convinta  che solo dalla conoscenza e dall’analisi della materia  si possa provare a capirne l’essenza.

Le riflessioni derivano da alcuni pensieri che mi ritrovo a percorrere circa il motivo per il quale abbia scelto la professione del restauro … certo prima di tutto c’è l’amore per l’arte e la sua storia, poi vengono la necessità di indagare, toccare, conservare  e comprendere. Si ma cosa. Certamente l’essenza dell’opera, il suo messaggio, tutti quegli elementi astratti che l’opera ci comunica, così come  la sua intenzione artistica. Ma tutti questi messaggi astratti fatti di emozione e pensiero usano un unico veicolo per giungere a noi,  passano tutti attraverso la materia di cui è composta un opera d’arte. Ed ecco che siamo arrivati al punto. Un nuovo punto di partenza per l’analisi. La materia di cui è composta un opera d’arte che è anche la materia di cui si occupa il restauro.

Per essere più precisi, la materia del restauro e la materia fisica di cui è composta un opera d’arte, per ovvia  conseguenza si può comprendere quanto  la materia abbia un importanza assoluta e rilevante nel restauro anche per la scelta dei materiali per condurre il restauro stesso.

Non a caso il restauro è suddiviso e disciplinato da un punto di vista formale a seconda delle materie,  trattate in via specialistica dai vari professionisti. Anche se è cosa diffusa, nonché utile alla sopravvivenza della “specie”, che ogni restauratore abbia più di una specializzazione in materia di restauro. Ovvero si occupi ed abbia esperienza diretta su più materiali

Credo possa essere di aiuto, al fine di comprendere l’intima connessione tra uno specifico settore del restauro e la sua materia di pertinenza, dare un occhiata agli ambiti di competenza, di seguito elencati, seppur sommariamente :

  • Superfici decorate dell’architettura, questa categoria comprende, affreschi, intonaci antichi, graffiti e stucchi e tutte le superfici  immobili di pertinenza architettonica, fatta esclusione per gli elementi lapidei che hanno una categoria a se

 

 

 

 

  • Elementi lapidei

  • Mosaici

 

 

 

 

 

  • Elementi lignei, questa categoria riguarda   mobili e sculture

 

 

 

  • Dipinti mobili su tela e tavola

  • Metalli

  • Tessuti

  • Reperti ceramici ed archeologici

  • Strumenti musicali

Solo per citare le più note.

Già ad una prima sommaria osservazione delle immagini si può comprendere quanto i materiali oggetto  del restauro siano diversi tra loro e in virtù di questa diversità e peculiarità vengono richieste varie competenze nonché  abilità nell’uso di metodiche e tecniche diverse . Poi ci sono gli oggetti compositi come la gioielleria o certe opere polimateriche. Per intervenire sui quali si rende utile l’isolamento delle varie materie al fine di intervenire con apposite metodiche su ognuno dei componenti dell’opera.

Così accadrà che materiali e tecniche utili per il restauro di un dato manufatto saranno del tutto inutili se non dannosi nel trattamento di un’altro oggetto.

Facciamo un banale esempio se nel restauro degli affreschi è consolidato l’uso, per la fase di pulitura, di sali del tipo carbonato o bicarbonato di ammonio, questi stessi, utilizzati su dipinti su tela o policromie lignee creerebbero danni irreversibili. Ma lo sanno tutti! L’esempio pare banale per quanto ovvio ma è utile prestare  attenzione poiché non sarebbe la prima volta, si vedano i casi dei materiali nati ed utilizzati nel restauro di oggetti lignei finiti dritti dritti nel restauro degli affreschi con pacifico consenso di tutti, penso  a certe resine acriliche e sintetiche tuttora molto diffuse.

Ma allora come è possibile agire con presunta certezza nel segno della conservazione del manufatto a fronte di una situazione di cronica e fluida instabilità?

Personalmente credo che la risposta stia proprio nella materia, ovvero nella conoscenza della stessa.

Quando si analizza e si studia una materia, quando la si osserva e la si conosce, quando dal profumo di un mobile si comprende l’essenza lignea o sfiorando un intonaco si arriva a dedurne la composizione o manipolando un metallo si intuisce la lega di cui è fatto. Allora si può comprendere un dato di estrema importanza per il restauro, il concetto di compatibilità tra i materiali. Un faro di riferimento che deve condurre le azioni di restauro, sempre associato della reversibilità!

Certamente ci vengono in aiuto tutti gli studi chimici e fisici  ma prima di fidarsi ciecamente di un materiale, che potrebbe vantare studi scientifici di parte, ovvero condotti dalla stessa ditta che ne gestisce la diffusione sul mercato. Pensiamo alla compatibilità con il nostro oggetto, quello specifico del caso che stiamo trattando, pensiamo alla sua composizione, alla sua collocazione, all’esposizione agli agenti atmosferici, alle condizioni climatiche e microclimatiche di quel dato luogo, alla possibilità che venga fatta manutenzione e a tutte le variabili che caratterizzano la vita quotidiana di un’opera d’arte. Allora potremo capire se quel materiale specifico  potrà funzionare per il restauro del nostro oggetto e potremo ridurre il rischio di errore nella scelta.

Così nel panorama di costante mobilità delle tematiche del restauro, la conoscenza della materia che compone l’opera d’arte costituisce un solido punto di riferimento per chi opera alla conservazione del patrimonio artistico e storico.

Sopra a tutto l’ottima teorizzazione del restauro, della quale il nostro paese può andare fiero, che detta le linee guida, trasversali utili per ogni oggetto, giardino o città di interesse storico artistico.

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Albo dei restauratori, una questione culturale

le “Baruffe chiozzotte” di goldoniana memoria, ovvero il conseguimento del titolo di qualifica di restauratore.

Il 31 dicembre 2017 doveva essere pubblicato l’elenco dei restauratori italiani, ovvero l’elenco di coloro che hanno conseguito la qualifica di “restauratore”, attraverso la selezione a mezzo di bando pubblico iniziato nel 1998 e conclusosi, con termine perentorio, il 15 ottobre 2015 con un susseguirsi di codici, bandi, ricorsi, tribunali, nuovi bandi, nuovi termini, nuovi parametri, rinvii, nuove regole, etc, etc.

Già leggendo tra le righe i testi delle comunicazioni e  delle proroghe si trovano chiari indizi che forse ci condurranno alla realtà dei fatti.

Si, per noi restauratori guardare la realtà è penoso ma proverò  a farlo, così come se analizzassi un opera d’arte.

I fatti;

  1. La formazione della qualifica del titolo di Restauratore è stata sollecitata dal Consiglio d’Europa ( se non erro, per questo ritardo l’Italia dovrebbe essere in mora da un pezzo)
  2. I restauratori hanno formazione eterogenea
  3. I restauratori sono pochi (quantomeno chi ha i titoli per ottenere la qualifica)
  4. I restauratori si scannano tra loro
  5. la commissione, composta da figure di alto profilo del panorama culturale, si riunisce a titolo gratuito
  6. La commissione scopre che i documenti da analizzare sono tanti
  7. I commissari provengono da tutta Italia e scoprono di avere bisogno di rimborsi
  8. La quasi totalità dei commissari si dimette
  9. Vengono fissati nuovi termini … il 30 giugno 2017
  10. Si sceglie di sostituire i membri della commissione con commissari Romani così da non avere il problema dei viaggi e quindi dei rimborsi
  11. La commissione, o quel che ne resta, annuncia il rinvio al 31 dicembre 2017
  12. La nuova commissione annuncia un nuovo rinvio a non so quando, mi sono distratta e forse non mi interessa più!

Le prima deduzione che emerge leggendo questo breve elenco è che non vi è una spinta socio politica o un bisogno reale nel conferire la qualifica di restauratore. La questione pare essere considerata un lieve fastidio, come un brufolo sul naso, che periodicamente compare. Un problema che non vale neppure il misero compenso dei commissari nominati.

Non vi è la volontà e neppure l’interesse

Eppure quello spropositato impegno profuso per deviare, bloccare, posticipare fa pensare ad altro. Fa sorgere il dubbio che qualche interesse, seppur pusillanime, ci debba essere.

Altrimenti non si spiegherebbe il ridicolo impegno nell’ostacolare l’applicazione di una normativa ovvia e banale.

L’interesse affinché  quella  professione nobile, nata e teorizzata in questo paese ed esportata nel mondo, rimanga un dato nebuloso nell’aere vagamente artistico, come un sentore di trementina, ci deve essere.

Partirò da una premessa che può rivelarsi utile alla comparazione, chiunque in Italia può conoscere quale sia il percorso formativo per titoli ed esami, per esercitare una data professione. Chi vorrà fare l’avvocato frequenterà la facoltà di giurisprudenza a cui seguiranno due anni di praticantato, infine dovrà superare l’esame di stato, chi sceglierà di fare l’architetto si laureerà in una facoltà di architettura e poi darà l’esame di stato e così via.

Il restauratore no, ad oggi non si sa cosa deve fare, un aspirante restauratore,  per esercitare legittimamente questa professione.

Fatta esclusione  dell’istituto centrale per il restauro e l’opificio delle pietre dure, la cui esiguità di offerta non assolve alle minime richieste, ne degli aspiranti restauratori ne del territorio.  Ogni giorno si vedono fiorire  nuove scuole di restauro, non vi è università o accademia che non abbia un corso di restauro, e poi scuole private, regionali, provinciali  e chi più ne ha più ne metta, tutte in qualche misura abilitate, certificate, ate.

Ok, ma quando uno studente concluderà il percorso formativo potrà esercitare? No,  beh, ma, boh … e chi lo sa!

Una pura follia che porta ad una frammentazione ulteriore, interna ad una categoria che già di per se stenta a riconoscersi, anche quando incontra un proprio simile.

I restauratori provenienti dalla formazione professionale si adirano contro quelli di formazione a bottega che si adirano contro i neo formati  da nuove scuole che magari pretendono di soffiargli i lavori… e tutti in coro contro quelli provenienti dall’ICR e OPD che, in questa melma fangosa, interpretano la figura degli eletti.

In realtà siamo tutti nella stessa condizione, come i polli descritti dal Manzoni nei “Promessi sposi” quelli che, accomunati dal medesimo destino ( finire in padella) non trovano di meglio da fare che azzuffarsi tra loro.

Una situazione paradossale che vede, a fronte dell’emergere della “fortuna critica” dell’arte in genere e del restauro come atto dall’aurea poetica, un aumento della precarietà della figura del restauratore. Una  contraddizione in termini!

Come se qualcuno avesse avvistato all’orizzonte un grande interesse nell’impresa culturale e artistica in genere e lo volesse riservare per se.  Preoccupandosi di mantenere il restauratore in uno stato di costante inferiorità e dipendenza. Per chissà quale timore, che possa emergere,  che possa trarne benefici, profitto o fama, chissà.

Questi soggetti oscuri che potrebbero essere altri professionisti oppure politici, pensano di risolvere il problema comprimendo la professione del restauro in uno spazio angusto, nel quale i restauratori  possano si svolgere il proprio  ruolo, ma sempre e solo per grazia ricevuta. Non per competenza, non per legittimità professionale ne per ruolo. Ma sempre solo ai piedi e al cospetto di chi gli consentirà magnanimamente di svolgere il lavoro che gli spetterebbe per ovvia competenza .

Purtroppo le figure che reggono questa politica non sono ben riconoscibili, non è facile additare il colpevole, senza cadere in inganno,  ma di certo l’operazione che stanno perpetrando non può che danneggiare l’intero paese.

Stanno mettendo in atto un boicottaggio alla professione del restauratore senza rendersi conto del più grande ed interessante orizzonte che vi è dinnanzi. L’Italia è un paese ricchissimo di arte, di genialità e di capacità tecnico artistiche. Il ruolo del restauratore svolto secondo criteri e norme corrette non può che apportare beneficio, non solo sotto il profilo conservativo ma di conoscenza. Ogni restauro è un’occasione di studio che può e deve costituire  una nuova pagina della storia di un dato bene.

I restauratori non sono meri esecutori e neppure aspiranti despoti, sono parte dell’ingranaggio culturale che può e deve procedere, ognuno secondo le propria competenza, con le finalità della conservazione del patrimonio che è la nostra storia e la nostra pelle.

Normare con equità e rettitudine la professione del restauratore è una questione culturale indice del livello evolutivo di un paese civile.

L’arte è una categoria dello spirito  nella quale c’è posto per l’espressione di tutti coloro i quali sapranno esserne all’altezza. Chi avrà qualcosa di sensato da dire in materia, alla fine non potrà che essere ascoltato e non serviranno a nulla argini balzelli o cavilli.

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

 

Colore o non colore, il bianco

Il bianco è un colore?

Eccome!

È più di un  colore, in esso vi sono tutti i colori concentrati, alla loro massima espressione cromatica. Un colore così intenso, potente e luminoso da non poter essere percepito dall’occhio umano. Il bianco è il colore che più si avvicina al concetto fisico di luce! Il bianco è luce.

Il bianco ci circonda, ha un importanza assoluta e non potremmo farne a meno, il nostro mondo senza il bianco sarebbe impensabile.

Quando vi è necessità di luce in un ambiente abitativo, di eleganza in un abito, oppure di volume e corpo in un dipinto; solo il colore bianco assolve  questi compiti. Sia esso colore ad olio,  tempera, pittura murale, smalto, calce o pastello a cera. In ogni sua forma si lega ad altri colori, può essere mescolato con qualsiasi altro pigmento e lo renderà più chiaro, luminoso e coprente. Attutisce però la brillantezza di certi rossi e blu.

Non a caso nella scala RGB del colore, che ognuno può trovare sul proprio computer, il bianco è collocato al massimo della scala di ogni colore cioè pari a 255 di rosso, 255 di verde e  255 di blu.

 

 

 

 

 

 

 

 

Come tutti i colori e forse più di tutti gli altri,  anche il bianco pone una serie di problematiche di studio e può essere analizzato sotto diversi aspetti. Ha un alta valenza simbolica, in ogni cultura. Ma se e vogliamo analizzare il colore bianco dal punto di vista fisico, le cose cambiano diametralmente .

Il bianco non è un colore, dal punto di vista scientifico, fisico e ottico non lo è.

Piuttosto è quella materia che ha la capacità di riflettere quasi per intero la luce così da non avere colore, ha tutti i colori in se e non ha tinta, esattamente l’opposto del nero che assorbe tutta la luce sino a non avere colore.

 

Per quanto lo studio del colore possa portare molto lontano e ramificarsi in ambiti e materie molto diverse tra loro, ritengo utile parlare di quegli aspetti che meglio conosco e, sui quali io possa dire qualcosa di utile e sensato.  Come sempre,  mi occupo di elementi della materia applicati all’arte, calce e pigmenti, quei microscopici granuli di polvere colorata, tangibili, con proprietà organolettiche e materiali.  Colori e polveri che possono essere toccati, mescolati, impastati, stesi con un pennello, con una spatola o spruzzati con un aerografo. Proverò a sondare questa minuscola parte dell’argomento del colore bianco, senza la pretesa di  essere esaustiva, ma per dare l’idea di quanto ampio sia l’argomento e magari condividere il desiderio di approfondirlo.

Innanzitutto ritengo di fondamentale importanza provare a fare una sintesi schematica, che certo non assolve la conoscenza sul pigmento bianco, ma può essere utile ad acquisire un metodo per valutare conoscere e riconoscere i diversi tipi di bianco. Bianchi che si vedono nelle opere d’arte antica, bianchi da utilizzare per il restauro, bianchi per dipingere o per stuccare.

Possiamo suddividere  i bianchi in tre macro categorie; quelli di origine minerale come la calce idrata e tutte le pietre ricche di calcio come il caolino,  quelli frutto dell’ossidazione dei metalli in ambiante acido e quelli di sintesi. 

Conoscere l’origine e la composizione chimica può essere di estrema importanza per comprendere quali pigmenti possano essere utilizzati in un determinato caso e in che modo. Dalla loro derivazione ne discende stabilità alla luce, compatibilità o incompatibilità con altri materiali. Tutti dati fondamentali se si vuole utilizzare il bianco nell’ambito del restauro delle opere d’arte, ma anche per la creazione e di opere ex novo.

Vediamo ora degli esempi di colore bianco, molti di essi si trovano in commercio, altri non più ma è comunque utile conoscerli poiché utilizzati nell’arte antica.

Caolino è un bianco minerale molto diffuso, si tratta una roccia morbida di tipo  detritico, presenta piccole varianti chimiche a seconda dei luoghi di cavatura, ma si tratta sostanzialmente di un minerale silicato dell’argilla, tipo bisolfato di alluminio. È molto diffuso ed utilizzato per impasti, ceramiche, stucchi e colori. Ha un ottima stabilità alla luce ed un alta compatibilità nella mescolanza con altre materie chimiche organiche e inorganiche. Il bisolfato di alluminio gli conferisce un potere antisettico pertanto, se utilizzato nei colori, questi saranno meno attaccabili da muffe, batteri e microrganismi. Per via di questa particolare proprietà è molto utilizzato in ambito cosmetico, basti dire che ognuno di noi lo incontra ogni giorno nella pasta dentifricia

 

La Biacca è forse il bianco più poetico e antico deriva dall’ossidazione del piombo esposto ai vapori acidi dell’aceto, è un bianco caldo, un poco giallo, dalla granulometria sottilissima, quasi vellutato. Oggi quasi introvabile per via della sua tossicità e a causa della sua instabilità, infatti la biacca in ambiente basico tende ad annerire rovinando irrimediabilmente le opere in cui è stata utilizzata. Presenta  meno problemi se utilizzata come colore ad olio,  poiché le molecole oleose avvolgendo completamente i pigmenti, evitano l’esposizione all’ossigeno e il conseguente processo di ossidazione. Mentre gli utilizzi della biacca con la tecnica a fresco, a tempera ed a calce hanno dato dei risultati devastanti.

La calce idrata, idrossido di calcio, o grassello o calce spenta è un colore ed un legante minerale nel contempo. È un materiale di estrema importanza nell’edilizia e nell’arte antica. Si presenta come una pasta umida di colore bianco assoluto, quasi accecante. Deriva dallo “spegnimento” in acqua, della pietra calcarea cotta a 800 gradi circa. Diluita può essere utilizzata come tinta, da stendere a pennello, in pasta, mescolata con due parti di inerte (sabbia di fiume o polvere di marmo) forma delle malte, dei marmorini e degli stucchi di eccezionale resistenza nel tempo. Il suo potere legante si estrinseca attraverso il processo chimico della  carbonatazione  e la perdita dell’umidità. Non ha un grande potere coprente se non addizionata ad inerti come carbonato di calcio. È il componente fondamentale dell’architettura storica e della tecnica pittorica a fresco. È il materiale per eccellenza del restauro degli affreschi, degli stucchi e degli intonaci sopratutto per il suo potere legante minerale, infatti nella sua forma più diluita, acqua di calce, è il miglior consolidante per imbibizione di intonaci ed affreschi. Di fondamentale importanza verificare la qualità della calce, essa deve derivare dalla cottura di carbonato di calcio o di magnesio e deve avere avuto una sedimentazione o spegnimento,  in acqua, di almeno 2 anni. I grasselli a spegnimento forzato, oggi molto diffusi in commercio, sono da evitare nel restauro, poiché  hanno un potere legante risibile.  Recentemente si è diffusa la commercializzazione di calce idrata in polvere ovvero già essiccata, anche questa forma  è da evitare nel restauro, poiché il potere legante della carbonatazione, che evidentemente non può verificarsi, potrebbe essere sostituito da additivi chimici.

Il Bianco di San Giovanni, è un meraviglioso colore dall’aurea quasi mitica, è di origine minerale e deriva dalla calce idrata. Non esiste in commercio, ma chi avesse qualche settimana di tempo può sempre provare prepararlo. Del bianco di San Giovanni ne parlano i trattati antichi come il “libro dell’arte” del Cennino Cennini. Vi si indica come prepararlo partendo dalla calce idrata; in sintesi si debbono formare delle palle di calce, lasciarle essiccare, quindi bagnarle con acqua demineralizzata, rimpastare, formare altre palle e ripetere l’operazione per sette o 10 volte. Alla fine si ottiene una polvere bianca candida che ha perduto il potere legante della calce trasformandosi in un pigmento di calce. È molto utilizzato negli affreschi antichi  ed è riconoscibile per il candore della calce unita ad un corpo spesso e compatto, la calce idrata infatti non potrebbe essere usata a corpo poiché polverizzerebbe entro breve.

 

Il Gesso o solfato di calcio biidrato, è un minerale di cavatura estremamente versatile e, a seconda della sua lavorazione assume forme diverse che offrono una quantità incredibile di utilizzi in ambito artistico e architettonico. Dagli scarti della lavorazione del gesso deriva il caolino, il gesso a seconda del grado di sedimentazione può essere bianco polveroso o cristallino trasparente (quarzo). Nella sua forma più polverosa (solfato di calcio) si ottengono i gessetti da lavagna che mescolati a pigmenti in polvere divengono gessetti colorati. Nella sua forma più cristallina i frammenti di quarzo molto utilizzati nelle paste e tinteggiature da esterno, per lo più legate con materiali sintetici o acrilici. Tra questi due estremi vi stanno una quantità incredibile di varanti del materiale. Uno dei più noti è la  scagliola (solfato d calcio emiidrato) è un  gesso in polvere che attiva una reazione chimica di tipo termico quando viene mescolato all’acqua e indurisce in breve tempo. La scagliola è molto utilizzata in architettura,  per decori plastici e per le finiture lisce delle pareti o per la creazione del carton-gesso. È uno dei componenti principali degli stucchi antichi, spesso mescolata alla calce idrata che ha il potere di rallentare la presa della scagliola e rendere più compatto e resistente il composto finale. La scagliola per via della sua capacità di indurimento veloce è presente in tutti i cementi, caldane e le malte a presa rapida. È bene  considerare un dato negativo della scagliola, la sua alta igroscopicità la rende inadatta a luoghi umidi o esposti alle intemperie. Utile ricordare che anche il più tenace dei cementi rapidi sarà sempre collettore di umidità. La scagliola è assai poco raccomandata in caso di restauro.

 

Il Bianco di Spagna è un carbonato di calcio molto sottile di granulometria, è un minerale naturale, a volte è mescolato ad altri carbonati di calcio,  non ha il potere coprente di altri bianchi e spesso viene utilizzato  come inerte carbonatico piuttosto che come pigmento nelle pitture murali, per comporre degli stucchi oppure come finissimo abrasivo per levigare le lastre di zinco utilizzate nell’incisione ad acquaforte. A differenza del Bianco di Bologna non si sposa perfettamente con le colle organiche poiché tende ad avere nel tempo deformazioni e tensioni difformi della superficie..

Il Bianco di Bologna detto anche gesso di Bologna è un solfato di calcio biidrato deriva dal gesso ed è completamente inerte e, come il bianco di Spagna è perfetto nella composizione degli stucchi, si sposa perfettamente  con le colle organiche e costituisce il tipico stucco per il restauro dei dipinti, la mestica o preparazione delle tele da dipingere e la base perfetta per le cornici dorate a foglia e bolo. Di contro non ha un grande utilizzo come pigmento per uso pittorico e teme l’umidità

Il Litopone è composto da solfuro di zinco e solfato di bario precipitati è un pigmento minerale molto stabile alla luce e compatibile con un gran numero di leganti organici e inorganici diffuso sia come pigmento per idropitture che per tempere

Il Bianco di Zinco è un pigmento di origine minerale ma ottenuto mediante un processo di sintesi dai vapori dello zinco bruciato ad alte temperature. Ha una buona stabilità alla luce ed una certa trasparenza, è infatti meno coprente del bianco di titanio. Si è diffuso sul mercato prima Francese e poi europeo dagli inizi dell’ottocento e il suo utilizzo è eminentemente pittorico.

 

Il Bianco di Titanio è un colore molto recente, infatti la sua formula è stata messa a punto e commercializzata nel primo ventennio del XX sec. è un  pigmento di origine minerale (biossido di titanio) ma ottenuto con un processo di sintesi, per cui è un pigmento minerale di sintesi. E molto coprente e sbiancante, ha un ottima resistenza alla luce  ma nel tempo tende a degradarsi per polverizzazione ed essiccazione

Questi sono i bianchi che mi sono venuti in mente, se ne conoscete altri, aggiungeteli nei commenti

Testi Dott.saSilviaConti©RestauroConservativo

Colore

Colore

Tutti sappiamo cos’è il colore, riempie la vita di ognuno di noi, ogni giorno, tutto quanto ci attornia ha un colore; il cielo, il paesaggio, la nostra auto, le scarpe che indossiamo ed anche la nostra pelle, i nostri occhi e i nostri capelli. Potremmo ben dire che il colore è parte di noi.

Da un punto di vista fisico il colore è la capacità di una data  materia di rifrangere la luce o meglio il colore è ciò che il nostro cervello recepisce sotto forma di  radiazioni elettromagnetiche o frequenze di ciò che emana quella data materia in presenza di luce.

Se proviamo a pensare al significato profondo della percezione cromatica ci rendiamo conto di quanto il colore,  così amichevole e familiare ad ognuno di noi, nasconda un tema  vasto e complesso, direi ciclopico e come se non bastasse, in continua evoluzione. Basti dire che di colore si occupano la fisica, la chimica, la fisiologia, l’ottica, la psicologia e chissà quante altre scienze. Inoltre è materia della storia dell’arte, della simbologia, della filosofia e di chissà quante altre materie umanistiche.

Ogni patria, ogni religione, ogni congregazione, ogni associazione, ogni squadra sportiva, ogni società per azioni ha i propri colori resi simbolo in loghi, vessilli o bandiere.

I colori che meglio conosco e di cui posso occuparmi in questo mio blog sono quelli materiali, dalle caratteristiche chimico fisiche tangibili e misurabili, peso specifico, granulometria, acidità, basicità, potere colorante, stabilità alla luce, etc.

Sto parlando dei pigmenti

Nel restauro si usano i pigmenti puri, o quantomeno si dovrebbero usare, conoscerne le caratteristiche è fondamentale per la buona riuscita di un intervento di restauro. I pigmenti infatti hanno caratteristiche chimico fisiche peculiari che li rendono più o meno adatti all’utilizzo in una data situazione. Più o meno resistenti  alla calce quale medium o alla luce per esposizione.

             

I pigmenti si suddividono in categorie, classi e sotto classi

Innanzitutto possono essere organici o inorganici, naturali o di sintesi, la gamma è vastissima e in continua evoluzione. Restringerò quindi il campo ai pigmenti utilizzabili nel restauro che, guarda caso, corrispondono alla gamma dei pigmenti utilizzati nella maggior parte delle opere d’arte antiche (dipinti, affreschi ed opere policrome in genere).

I pigmenti della tradizione storica si possono raggruppare nelle seguenti categorie

  1. Pigmenti di terra o di cavatura
  2. Pigmenti minerali
  3. Pigmenti vegetali
  4. Pigmenti animali

Per dare un idea concreta di questa suddivisione farò alcuni esempi che certo non possono esaurire l’intera gamma:

I pigmenti di terra sono i più diffusi e variano dai gialli ocra alle terre d’ombra naturali o bruciate, ai bruni

 

I pigmenti minerali sono per lo più azzurri, alcuni verdi, blu, violetti ma anche il grigio grafite

    

I pigmenti vegetali sono alcuni verdi, alcuni gialli, il nero di vite

   

I pigmenti animali sono i rossi, tipo di cocciniglia o la porpora e il nero avorio

   

Nei prossimi articoli approfondirò il dettaglio alcuni singoli pigmenti

Una nota doverosa per gli ossidi , sono i colori in polvere più diffusi e meno costosi, nascono per l’industria della ceramica. Spesso vengono confusi con i pigmenti di cui sopra ma vanno utilizzati con cognizione di causa nell’arte in genere, mentre nel restauro non vanno utilizzati affatto, per via della loro instabilità, infatti questi colori trovano la loro stabilità solo a seguito di cottura.

Testi SilviaConti©RestauroConservativo

Color

We all know what color is, fills the lives of each of us, every day, everything that surrounds us has a color; the sky, the landscape, our car, the shoes we wear and even our skin, our eyes and our hair. We could say that color is part of us.

From a physical point of view, color is the ability of a given matter to refract light or rather color is what our brain transpires in the form of electromagnetic radiation or frequencies of what emits that given matter in the presence of light.

If we try to think about the deep meaning of color perception, we realize how color, so friendly and familiar to each of us, conceals a broad and complex theme, I would say cyclops and as if it were not enough, constantly evolving. Suffice to say that color is concerned with physics, chemistry, physiology, optics, psychology and many other sciences. It is also a matter of the history of art, of symbolism, of philosophy and of many other humanities.

Every homeland, every religion, every congregation, every association, every sports team, every corporation has their own colors rendered as symbols in logos, banners or flags.

The colors that I know best and which I can deal with in this blog are material materials, tangible and measurable physical chemical characteristics, specific weight, granulometry, acidity, basicity, coloring power, light stability, etc.

I’m talking about pigments

In the restoration pure pigments are used, or at least they should be used, to know the characteristics is essential for the successful restoration work. In fact, pigments have peculiar physical chemical characteristics that make them more or less suitable for use in a given situation. More or less resistant to lime as medium or light for exposure.

The pigments are divided into categories, classes and subclasses

First of all, they can be organic or inorganic, natural or synthesized, the range is vast and constantly evolving. I will then restrain the field to the pigments that can be used in the restoration which, by chance, correspond to the range of pigments used in most antique works (paintings, frescoes and polychrome works in general).

Elementi di portfolio